La classifica dei romanzi di Amélie Nothomb, dal peggiore al migliore

Le classifiche sono sempre una cosa un po’ puerile e sterile, ma anche divertente. C’è molto di soggettivo e arbitrario nel mettere un romanzo in una posizione o in un'altra, eppure questo esercizio può essere utile per creare nuovi paralleli e confronti, in una costellazione di opere, come quelle della Nothomb, tanto simili e diverse al contempo, capaci di ammaliare e dividere il pubblico dei suoi lettori.

Prima di procedere, come premessa affermo solo che non ho nessuna pretesa di elevarmi al ruolo di vate, dico solo che conosco molto bene gli scritti della Nothomb. Ho iniziato ad appassionarmi alla lettura a circa quattordici anni proprio grazie ai suoi brevi romanzi. Nel corso della mia vita li ho letti e riletti numerose volte, sia in italiano che in francese. Col tempo mi sono disamorato, e poi, infine, li ho “recuperati” grazie a Audible, ascoltandoli in formato audiolibro per rivivere la nostalgia dei primi incontri con la sua opera. Questa classifica, alla fine, rappresenta anche un omaggio all’estro trasformistico dell’autrice, alla sua prolificità, che (nel bene e nel male) non finisce mai per esaurirsi.

 

I peggiori

 

31 - Riccardin dal ciuffo (2016)

 

Una versione moderna della celebre favola di Charles Perrault. Protagonisti, il brutto ma geniale Diodato, con la passione per l’ornitologia, e la bella ma vacua Altea, capace di impreziosire il mondo col suo sguardo profondo e appassionato. Un’improbabile storia d’amore, prevedibile nel suo essere paradossale, noiosa nel suo sembrare la copia disneyana di altre relazioni romantiche che Nothomb ha già tratteggiato nella sua lunga carriera di scrittrice.

Sicuramente questa è l’opera più debole, ricorsiva, stanca del suo corpus letterario. Il problema qui non è, come sostiene l’autrice, il fatto che il lieto fine sia malvisto dalla snobistica letteratura colta, o l’esplicito riferimento a un universo fiabesco (che era stato trasfigurato in modo squisito nel riuscitissimo Barbablu), ma la retorica zuccherina che trasuda dalle pagine del breve romanzo. La parte peggiore è senza dubbio l’inizio, dove la scrittrice esibisce un gusto lezioso e senile nel descrivere l’infanzia, rivelando un compiacimento quasi grottesco.

 

30 - Primo sangue (2021)

 

Primo romanzo della trilogia dedicata alla Trinità (Padre, Figlio, Spirito Santo), sulla scorta di un esperimento romanzesco paterno mai pubblicato, una sorta di autobiografia con sfondo storico verbosissima (in totale opposizione al gusto per la brevità narrativa della figlia).

Amelie Nothomb qui (ri)vive la parabola esistenziale di Patrick Nothomb, diplomatico belga giramondo, una storia intrecciata con le ragioni della sua nascita, inserendosi in uno sfondo storico ben definito. I motivi personali, e metaletterari, messi in campo non mancano, come anche l’ambizione a misurarsi con un genere di romanzo decisamente diverso dal suo standard. Ma Primo sangue non decolla mai, chiuso nella sua autoreferenzialità, troppo ancorato a un ricordo paterno che non riesce ad esaltare l’estro della scrittrice, finendo per vincolarla e quasi castrarla a un realismo schematico e asettico, privo di profondità e introspezione.

In questo romanzo noi lettori vediamo solo l’amore di una figlia per suo padre, dimenticando in questo processo lo spettatore, in assenza di quella distanza critica che serve per trasformare la propria storia privata in un racconto “universale”.

 

29 – Sete (2019)

 

Secondo romanzo della trilogia dedicata alla Trinità (Padre, Figlio, Spirito Santo). Nothomb qui, sulla scia della sua passione per la divinità cristiana, impersona il Cristo, nella notte prima della crocifissione, dando sfogo a un lungo flusso di coscienza fatto di ricordi dolci e amari. Un’opera amatissima della Nothomb, definita da lei stessa la più importante della sua produzione. Tuttavia, senza né ironia né dramma, Sete è un romanzo stranamente privo di emozioni. Offre una scrittura molto meditata più che pensata, ricca di introspezioni e riflessioni, purtroppo, sterili, che si perde in un descrittivismo poco ispirato. Risulta evidente l’aspirazione da parte della scrittrice di realizzare un gran classico, finendo per perdere l’anima.

 

28 - Il libro delle sorelle (2022)

 

La storia di due sorelle che si amano in modo simbiotico e viscerale, attraverso gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza, della maturità. Gli ovvi richiami autobiografici qui si fanno opachi, in uno dei romanzi di Nothomb peggiori sul piano stilistico, con dialoghi fiacchi e personaggi piatti e generici. Si salva solo nelle ultime dieci pagine, quando oramai è troppo tardi. È un peccato, perché la storia poteva essere sviluppata meglio, e c’erano tutti gli elementi per portare avanti una narrazione “a tesi”, sulla scia di Colpisci il tuo cuore e I nomi epiceni, due romanzi che raccontano storie di riscatto – è vero – un po’ didascaliche, ma capaci di emozionare e coinvolgere grazie a una combinazione di dramma genuino e cruda spietatezza.

 

27 - Il delitto del conte Neville (2015)

 

Una storia dall’afflato classico, ambientata in un castello in rovina nelle campagne belghe. Per salvare un garden party da un fallimento mondano, come predetto da una stravagante medium, un padre di famiglia, molto devoto alle tradizioni, deve macchiarsi di un orribile crimine, coinvolgendo direttamente sua figlia. Gli echi tragici alle opere di Sofocle e Oscar Wilde non mancano, ma si tratta essenzialmente di un romanzo breve e innocuo, dove tutto sembra già visto e sentito, non aggiungendo nemmeno un po’ del suo consueto humour nero. Forse meriterebbe di situarsi più basso in classifica, ma almeno qui c’è un ideale di compiutezza, e anche di rispetto, per la forma-romanzo che manca totalmente alle narrazioni sfilacciate e autoreferenziali che – alla fine – hanno scomposto l’eredità letteraria della Nothomb in una specie di stanza degli specchi da parco giochi.

 

26 – Psicopompo (2023)

 

Un opera-testamento che chiude la trilogia dedicata alla Trinità (Padre, Figlio, Spirito Santo). La prima parte è una rassegna confusa e descrittiva di cose già scritte da altre parti in una forma più elaborata e ispirata. Si tratta di ripercorrere le tappe della sua vita, partendo dal Giappone per arrivare, dopo aver attraversato mezzo mondo, a Parigi, un viaggio in compagnia dell’animale “psicopompo”: l’uccello. Questa creatura celeste ha un ruolo simbolico importante anche in relazione al doloroso lutto paterno, che storicamente inaugura la trilogia, legandosi in questo caso alla possibilità di poter attraversare l’Ade per comunicare attraverso la scrittura con la sua anima perduta.

La seconda parte del romanzo è molto teorica, e sistematizza una visione della vita, della morte e dell’arte che dona spessore a questa metafora animale, ma – ancora una volta – una certa sciatteria nella messa in forma delle idee rovina tutto.

 

25 – Petronille (2014)

 

Con questo breve romanzo inizia la parabola dell’autofiction, più o meno romanzata, che segnerà (quasi) tutte le produzioni successive della Nothomb. Qui, tuttavia, questa tendenza mostra ancora delle trovate creative e divertenti che mantengono viva la sua scrittura. Le ossessioni della scrittrice – come quella per lo champagne –, infatti, qui cantano ancora, intonano con slancio lirico una storia sentita, che non si perde nel postmodernismo cinematografico e filosofico, o nelle incursioni nell’attualità del panorama culturale francese. Peccato che l’incanto dura poco, e tutto scade nel compiacimento salottiero (come nell’episodio dedicato al tragicomico incontro con Vivienne Westwood), in un racconto più o meno traballante che ripercorre le tappe dell’amicizia della scrittrice per un’altra scrittrice, la talentuosa Stéphanie Hochet, alias Petronille.

  

Sperimentazioni più o meno riuscite

 

24 - La nostalgia felice (2013)

 

Nothomb (ri)torna in Giappone per realizzare un documentario che ripercorre i luoghi della sua mitologia personale e letteraria, da quelli cari dell’infanzia a Kobe a quelli della maturità a Tokyo. Compaiono anche volti e personaggi che i lettori hanno imparato a conoscere bene attraverso la sua opera. Un viaggio nella memoria, venato di una nostalgia che prima di dirsi “felice” si tinge di un cupo grigio, per poi rischiararsi di una luce pallida e incerta, una nostalgia che tuttavia resta ai suoi lettori, che - oramai - devono abituarsi a una concezione del romanzo nothombiano sempre più autoreferenziale, prigioniera del gusto per l’aneddoto e di finali inconcludenti (salvo nel caso di tre romanzi “tardi” che compieranno il miracolo: Colpisci il tuo cuore, I nomi epiceni, Gli aerostati).

 

23 - Uccidere il padre (2011)

 

Una storia fuori dai canoni per l’immaginario nothombiano, ambientata negli Stati Uniti, fra Las Vegas e Reno, attraversano i deserti del Nevada. Il giovanissimo protagonista, Joe Whip, cacciato di casa dalla madre, si trova a inseguire il più grande mago della piazza per diventare un suo allievo, con il desiderio di carpire il segreto della sua arte… e non solo. Una storia oscura, piena di rovesciamenti di prospettiva e di sentimenti assoluti e atavici, degni di una tragedia contemporanea. È un peccato mettere un romanzo così promettente in una postazione così bassa, perché gli elementi per realizzare una grande opera c’erano tutti, ma qualcosa non torna nello svolgimento della trama e nello sviluppo dei personaggi, e lascia l’amaro in bocca doversi accontentare di un qualcosa che termina così sbrigativamente, consegnando un racconto quasi epico all’oblio.

 

22 - Una forma di vita (2010)

 

Un romanzo veramente strano, che mostra come – con l’ausilio dell’audacia, della fantasia e dell’ironia – l’aneddoto possa diventare qualcosa di più che una citazione personale fine a sé stessa, sfuggendo al descrittivismo vanesio che accompagna molti scrittori noti del panorama letterario, una tendenza che alla fine della sua carriera non ha risparmiato nemmeno la suddetta autrice.

Sappiamo che la Nothomb intrattiene una fitta corrispondenza con i suoi affezionati lettori, e qui al centro della vicenda c’è un interlocutore decisamente particolare. Si tratta di un soldato statunitense in stanza in Iraq, diventato obeso a causa del suo crescente disgusto per la guerra. Il dialogo, fertile anche se stravagante all’inizio, all’improvviso si interrompe: cosa potrà mai essere successo? Dietro la boutade di questo breve romanzo prendono forma le ossessioni ricorrenti della scrittrice - come il tema dell’alterità, dell’autodistruzione - in un amalgama grottesco e surreale. Il formato vagamente cinematografico della vicenda lo rende un racconto particolarmente vivido e ricco di interesse, se non altro per una serie di spunti critici sul nostro presente, anche se tutto alla fine si risolve in una parabola tragicomica che rimette al centro l’Io della scrittrice.

 

21 - Causa di forza maggiore (2008)

 

La storia di un furto d’identità a cavallo fra l’Albert Hitchcock di Intrigo Internazionale e un’opera d’arte sperimentale dal taglio decisamente ermetico, fra serio e faceto.

Un signore suona al citofono, vorrebbe fare una telefonata al meccanico più vicino, la sua macchina è in panne. Appena entra nella casa del protagonista questi, dopo aver digitato il numero sul ricevitore, all’improvviso muore. L’assurdità della scena istiga, allora, un assurdo proposito: assumere l’identità di questo illustre sconosciuto. Il cadavere squisito ha mentito sul presunto guasto a motore della sua lussuosa auto sportiva, e mentre il suo novello sostituto sfreccia verso la sua ex dimora, una bella villa a Versailles, lui incontra una donna che non gli rivelerà mai il suo vero nome, una donna bellissima come molte delle figure femminili nothombiane. Il sogno di un avvenire grandioso non si è mai retto su fondamenta più precarie e stranianti di queste. A questo proposito, si tratta di un romanzo decisamente divisivo: c’è chi lo odia trovandolo inconsistente, e che rimane ammaliato dalla strana poesia di certe suggestioni, incerte, abbozzate eppure affascinanti.

 

20 – Antichrista (2003)

 

Un romanzo lineare e conciso, che racconta la storia di una adolescente solitaria, Blanche, che si trova a vivere un rapporto conflittuale con la carismatica ma manipolativa Christa, in un vortice di adorazione e rifiuto che la porterà ad affrontare (e forse soccombere) ai suoi fantasmi interiori.

Probabilmente, questa storia rappresenta un tentativo di esorcizzare il difficile periodo universitario vissuto da Nothomb a Bruxelles, arrivata nella capitale belga dopo aver girato mezzo mondo, vivendo con disagio la propria condizione di nomadismo ed estraneità. Qui la storia ripercorre le insicurezze di un’età incerta, al contempo priva e ricca di possibilità, mettendo a fuoco l’amore della scrittrice per la letteratura, e compiendo un vero e proprio elogio del potere salvifico della parola scritta. Belle queste parti liriche, un po’ meno entusiasmante il resto, anche se sul finale l’opera sa mostrare tutta la magia di una scrittura che mira a restituire (e forse soccombere) davanti al fascino conturbante della vera bellezza, o almeno del suo miraggio.

 

19 - Sabotaggio d’amore (1993)

 

La storia della seconda parte dell’infanzia della scrittrice, che racconta del traumatico distacco dal sublime Giappone all’arida per passare alla caotica Pechino, a causa del trasferimento di suo padre nell’ambasciata del paese allora sotto il regime comunista. Qui la bambina, frequentando una scuola francese, dove non impara assolutamente nulla, passa le sue giornate insieme agli altri figli dei diplomatici, rinchiusi dentro a un “ghetto”, ordine del regime per non familiarizzare con la popolazione locale, giocando a fare la guerra, riportando così in vita gli schieramenti del secondo conflitto mondiale.

Un romanzo, a mio avviso, un po’ sopravvalutato. Una storia carina e divertente, certamente ispirata, ma anche – troppo – leggera nel suo incedere lieve e svagato. La bellezza dello stile della Nothomb sta nel mix di spietata ironia e fantasioso dramma, nella capacità di portare alla luce aspetti profondi dell’animo umano, con un distacco che non raffredda la materia viva dell’esperienza di scavo, ma, anzi, la esalta in modo sarcastico e grottesco. Qui quest’ultimo elemento c’è sicuramente, ma in linea minore, cosicché a tratti sembra solo una storia di bambini con bei riferimenti alla Cina della “Banda dei quattro” e all’immancabile Stendhal. 

 

18 - La catilinarie (1995)

 

La storia di una coppia di coniugi in pensione che decide di comprare una casa in campagna, col desiderio di viversi una tranquilla vecchiaia. La cornice idillica in cui neanche fanno in tempo ad inserirsi viene distrutta dall’apparizione dello stravagante vicino, che suonando alla porta di casa decide, già dal primo giorno, di occupare abusivamente il loro salotto ogni pomeriggio, imponendo così la sua silenziosa e ambigua presenza.

Il tema dell’estraneo ricorre nell’opera di Nothomb, svolgendo qui il ruolo di apripista nel corso di una produzione che lo mostrerà in molteplici declinazioni. Già in Igiene dell’Assassino la sua corporeità espansa e molle assumeva un ruolo centrale, laddove in altri futuri romanzi questa diventerà sottile e affilata come un coltello. Insomma, questo spettro polimorfo trova sempre un pretesto per ri-presentarsi al cospetto della scrittura nothombiana, come avviene anche alla figura della sorella Juliette, qui in veste di amorevole e cagionevole mogliettina del protagonista. In questa cornice bucolica, l’elemento di disturbo richiama l’immaginario dei quadri di René Magritte, del cinema di Luis Buñuel. Come si può vivere a fianco della follia? Cosa fare quando l’assurdo si insinua sotto il proprio tetto, risvegliando pulsioni di rabbia e aggressività che rischiano di mettere in pericolo l’architettura etica e morale su cui si è costruita una intera esistenza? Una giovane Nothomb ha il coraggio di mostrarsi implacabile in queste pagine, che risentono, tuttavia, di un tono a tratti troppo grigio e sommesso per brillare veramente.

 

17 - Ritorno a Pompei (1996)

 

La trama di questo romanzo è assurda quasi quanto il suo svolgimento.

Nothomb, protagonista della storia, parla ai suoi amici di una balzana idea (ovvero che l’antica Pompei è stata selezionata dagli uomini del futuro per essere “salvaguardata” a causa del suo intrinseco valore archeologico, attraverso l’esplosione controllata del Vesuvio, ottenuta compiendo un viaggio indietro nel tempo) e finisce per mettersi in grossi guai, quando scopre che – contro ogni logica – ci aveva visto giusto. Allora viene trasportata nel futuro per essere imprigionata insieme al machiavellico Celsius, alto gerarca di uno stato dispotico, ideatore della cosiddetta “operazione Pompei”.   

Più che un breve romanzo sembra una pièce teatrale. Qui come non mai tutto si regge sui dialoghi, particolarmente densi, colti e ricchi di riferimenti, anche se non scevri da un certo gusto intellettualistico che finisce per appesantire la lettura. In maniera anche didascalica vengono proposti tutti i temi della scrittura nothombiana, mostrando le derive più irrazionali del suo immaginario, le fobie e le pulsioni che dipingono gli scenari di un sé diviso, in creativo e fertile conflitto.

 

16 - Colpisci il tuo cuore (2017)

 

Un romanzo tardo della scrittrice che riaccende la speranza. Dopo la caduta di stile melensa e consolatoria di Riccardin dal ciuffo, chi si aspettava l’inedito ritorno di una storia spietata come quelle di un tempo? Cruda e marziale nel ritmo implacabile che scandisce una parabola di vita raccontata in tono stranamente serioso.

All’inizio della vicenda – è vero – ritroviamo quel gusto morboso per la descrizione dell’infanzia, ma presto questo lascia il passo a uno sguardo più maturo e disilluso sul potere dell’amore genitoriale, alla luce delle sfide che pone l’esistenza adulta. Diane, bambina non amata dalla splendida ma gelida madre, crescendo finisce per portare il fardello di questo vuoto confrontandosi con un altro tipo di vuoto: quello etico e umano del mondo accademico, retto da torbide dinamiche di vassallaggio e baronaggio, che nascondono dietro la facciata decorosa una rete di abuso e violenza che non fa che amplificare l’esigenza interiore di affrontare il proprio passato, per (ri)leggere lucidamente le sfide del presente. Personaggi e dialoghi ben scritti, senza sbavature ed elementi fuori posto, per un’opera che va dritta al cuore come un coltello.

 

15 - I nomi epiceni (2018)

 

Epicene è una bambina che nasce da una coppia disfunzionale. Il suo nome epiceno, cioè declinabile sia al maschile che al femminile, riflette quello dei genitori, Dominique e Claude. Ma dietro questa ambivalenza identitaria si situa l’ambiguità di un progetto di vendetta da parte del padre che minaccia di contagiare l’ecosistema familiare, come una sorta di maledizione che colpisce in pieno la figlia, rivelando una strana somiglianza proprio col genitore tanto odiato.

Una storia di violenza psicologica e riscatto catartico scritta con bruciante maestria, coinvolgente e soddisfacente nel finale impeccabile. Nothomb qui parla di vita vera, di drammi reali, e con coraggio mostra come le maledizioni che ci attanagliano vadano affrontate, accogliendo l’oscurità che ci abita ma anche la luce che emerge dal confronto con essa, con la parte più temibile del sé e dell’altro che costituisce il nucleo composito della nostra umanità.

 

14 - Gli aerostati (2020)

 

La storia di Ange, studentessa di filologia all’università di Bruxelles che si trova ad impartire lezioni private a Pie, un adolescente problematico, prigioniero di una famiglia loscamente ricca e torbidamente manipolatoria.

Un’opera poetica, lieve e frammentaria come una poesia ermetica. È un peccato che, nonostante i tanti elementi messi in campo, alla fine sia un testo così esile, risultando probabilmente il testo più breve mai concepito dalla scrittrice. Certo, è bello anche così, e faceva anche ben sperare, visto che si tratta di un’opera tarda.  Possiamo dire che con questo amaro e nostalgico ritorno in patria Nothomb, finalmente, (ri)trova il coraggio di abbracciare il dramma nella sua veste più disadorna e lacerante, senza abbellimenti posticci. Qui, sempre su L’Amletico, ho scritto una recensione.

 

I migliori

 

13 – Attentato (1997)

 

Un’opera giovanile piena di fascino e irriverenza, certo acerba per certi versi, ma debordante di idee e spunti interessanti. Epiphane Otos è un uomo bruttissimo, che come Quasimodo si innamora di una donna bellissima, la più sublime di tutte. In questa disavventura, che lo porterà a mettere alla prova la sua personale estetica – cucita con un bricolage di citazioni di Yukio Mishima e Georges Bataille –, Nothomb crea una favola tragica piena di umorismo che costituirà un solido precedente per molti suoi romanzi, che ne ricalcheranno i temi e la struttura in modo quasi citazionistico.

 

12 - Metafisica dei tubi (2000)

 

Un classico nothombiano, che ripercorre la prima fase della sua infanzia: l’idillio giapponese. Ci immergiamo qui in un sublime panorama bucolico, sulle colline del Kansai, esplorando il disagio di vivere in una terra che, nonostante l’amore della bambina, si rivela ostile.  

Certo, come molti sapranno, lei non è veramente nata a Kobe in Giappone, ma a Etterberk in Belgio, e che nemmeno si chiama Amélie, ma Fabienne, eppure la sua biografia romanzata si prende molte licenze anche in buona fede, per restituire l’intensità di certe esperienze vissute con totalizzante intensità. Qui emerge anche il tema della bellezza crudele, insieme a quello dell’irriducibile alterità del Giappone, come vediamo anche nel travaglio lavorativo e kafkiano di Stupore e Tremori.

 

11 - Dizionario dei nomi propri (2002)

 

La storia di una ballerina di danza classica dal destino scritto col sangue, il sangue di sua madre, che ha inaugurato la sua nascita con un crimine orribile, per permettere alla piccola Plectrude di sfuggire dalla mediocrità che la nostra società impone come standard.

Incipit folgorante, di un virtuosismo ammirevole nella sua scioltezza e immediatezza. Il rapporto con il corpo – e il desiderio – è centrale in queste pagine scandite da riflessioni sul tema della violenza psicologica in famiglia e sulla possibilità di poter essere ancora felici da adulti, di poter ancora scoprire la magia dell’esistenza… anche se a caro prezzo.

  

10 - Biografia della fame (2004)

 

L’avventura “finale” di Nothomb, che riassume tutta la sua vita, leggendola attraverso il concetto di “fame”, intesa in senso letterale (attraverso l’esperienza dell’anoressia) e metaforico (intesa come un’aspirazione metafisica). Un passaggio riferito all’esperienza newyorchese, rispetto alla pulsione di morte che abita il cuore del desiderio, è superlativo, scritto in modo evocativo e potente. Il finale della sua parabola esistenziale, invece, è molto deludente, e dimostra come una certa tendenza alla sciatteria aveva già iniziato a manifestarsi precocemente anche in opere riuscite.

 

9 - Cosmetica del nemico (2001)

 

Un altro classico nothombiano, dove l’ossessione per l’alterità raggiunge vertici allucinati, maniacali. Siamo un aeroporto e uno sconosciuto inizia a importunare un passeggero che vorrebbe semplicemente allontanarsi da questa presenza infestate, che si insinua sempre di più nella sua vita privata con facilità disturbante. Sarebbe tutto perfetto, se la trama non fosse un po’ troppo prevedibile. La brevità estrema non aiuta, anche se si tratta di un’opera che lascia il segno in chi l’ha letta, e non a caso ha impattato sull’immaginario collettivo in maniera più incisiva di altre opere anche più celebri e riuscite.

 

8 - Barbablù (2012)

 

Il perfetto romanzo nothombiano, forse il più raffinato di tutti. La sua “colpa” è solo quella di arrivare troppo tardi, creando una sintesi di una serie di personaggi, storie e temi che i lettori più antichi e fedeli conoscono bene. La riscrittura della favola di Barbablù di Perrault non poteva essere più divertente e audace, briosa e insieme mistica e sensuale. Saturnine è una storica dell’arte belga che arriva a Parigi per insegnare all’Ecole du Louvre, e nel cercare casa si trova a diventare la coinquilina dell’uomo più nobile del mondo, uno spagnolo fanatico del traffico delle indulgenze e dei processi per stregoneria, capace di risultare amabilmente odioso, e quindi irresistibile, almeno quanto la bellezza della protagonista che richiama la pittura di Fernand Khnopff.

  

7 - Acido solforico (2005)

 

Una Nothomb particolarmente polemica e caustica immagina una storia destinata a inorridire molti, realizzando l’opera più divisiva della sua produzione. “Concentramento” è un reality show che replica l’orrore dei campi di concentramento per trasformarlo in spettacolo. L’intento palese è quello di criticare l’assuefazione che la cultura dell’intrattenimento ha realizzato oggi, contagiando tutti. Ma l’escalation di orrore, infine, non fa altro che far prevalere un’ennesima vicenda pseudo-romantica dove amore e bellezza si intrecciano in un cocktail di infelicità da gustare con garbo a fine lettura. L’opera, tuttavia, per il suo coraggio e la sua lucida analisi è ammirevole, e riesce a spingersi con coraggio oltre il ruolo ipocrita di molti intellettuali odierni che si sono venduti alle regole del mercato per ottenere visibilità, facendo finta di non vedere il degrado umano e morale che si nasconde dietro al loro privilegio mediatico.

 

6 - Diario di rondine (2006)

 

Storia breve e folgorante di un pony express che diventa serial killer, dopo aver rinunciato a provare sentimenti a seguito di una delusione amorosa. Poetico e lieve come un sogno vagamente inquietante, mostra al suo meglio il lirismo minimalista che a volte contraddistingue la scrittura di Nothomb, tralasciando l’incipit dall’allure cult decisamente posticcio che starebbe meglio su un’opera X di Palahniuk.

 

5 - Il viaggio d’inverno (2009)

 

Una storia d’amore allucinata e lisergica che richiama certi impossibili triangoli amorosi della cultura francese. Un impiegato di una società elettrica con tradite velleità letterarie si innamora della sublime assistente (o meglio badante) di una scrittrice geniale ma completamente demente, vivendo in condizioni di estrema povertà in un attico a Rue Montorgueil. Il vitalismo della scrittura di Nothomb qui raggiunge le stelle, gli astri celesti. Questo romanzo potrebbe essere inteso come una versione più raffinata e matura di Attentato, dove il tema dell’ossessione per la bellezza raggiunge il suo culmine attraverso un excursus meglio definito e costruito, con personaggi veramente carismatici e drammatici, e un finale deliziosamente macabro.

 

4 - Mercurio (1998)

 

Un romanzo che fa male rileggere oggi, perché mostra tutto quello che la Nothomb ha perso nel corso degli anni, lo spirito creativo e surreale messo al servizio non del sogno compiaciuto e consolatorio ma dell’indagine delle profondità animo umano, con spietata ironia e lucida consapevolezza. Gli amati riferimenti intellettuali qui sono ancora freschissimi, come la sempre citata Certosa di Parma di Stendhal, qui inserita in una storia di prigionia bellissima, dove una fanciulla, Hazel, è trattenuta da un anziano capitano che stabilisce con lei un oscuro rapporto. Un’infermiera, chiamata per curare un malessere passeggero della ragazza, rovinerà per sempre gli equilibri di questa favola grottesca. La ricerca edonistica nella scrittura della Nothomb trasuda di un piacere che affonda le sue unghie nel sadismo e nel masochismo più selvaggio, trionfando con innocente fierezza.

 

3 - Né di Eva né di Adamo (2007)

 

Un ritorno nella sua patria perduta, raccontando un pezzo della sua autobiografia che, cronologicamente, si situa in parallelo alla tragicommedia lavorativa di Stupore e tremori. La storia d’amore (?) fra la giovane Amelie e il dolce e stravagante Rinri viene tratteggiata in modo caustico e dissacrante, ma anche con sincero affetto, che deborda soprattutto quando la passione per il Giappone, la sua bellezza, la sua cultura si impone sul centro della scena.

Un romanzo, nella sua intelligente leggerezza, così brillante e piacevole che si rilegge con grande naturalezza. Io l’ho fatto almeno una ventina di volte. Tutto qui è in soave equilibrio, dramma, ironia, esperienza autobiografica, espediente narrativo.

 

2 - Stupore e tremori (1999)

 

Questa è l’opera che ha imposto Nothomb nel panorama editoriale mondiale, e (anche) per questo motivo non potevamo che posizionarla sul podio. Si tratta di un incubo fra il kafkiano e il dantesco del sistema lavorativo nipponico, condito con un’abbondante dose di humour e follia, presente anche nella passione della scrittrice per la bellissima ma gelida e crudele Fubuki, sua superiore nell’azienda Yumimoto. L’indagine sociale qui dialoga con il dramma di sentirsi esclusi dal paese amato, tanto affascinante quanto ostile, schiacciato da un sistema lavorativo che spinge il suo popolo alla più suicida alienazione. A questo proposito, le pagine dedicate alla condizione della donna sono semplicemente brillanti. Questo è il vero “classico” della Nothomb, non il tentativo asettico e scolastico di Sete.

 

1 - Igiene dell’assassino (1992)

 

Opera prima e definitiva. Certo, anche questo posizionamento è un po’ scontato,  ma che dire? Qui c’è tutto, o meglio, c’era già tutto. Il linguaggio raffinatissimo, notevole per un lavoro così precoce, si amalgama perfettamente alla varietà delle situazioni formali e dell’intreccio drammatico, rivelando una cura, quasi maniacale, che manca quasi del tutto all’ultima Nothomb. La storia dell’ottuagenario premio nobel per la letteratura Prétextat Tach, razzista, misogino e moribondo che concede cinque interviste prima di abbandonare questo mondo, dunque, riesce ancora oggi a lasciare un marchio indelebile nella mente del lettore.