Neon Genesis Evangelion o l’apocalisse come arte

Neon Genesis Evangelion è uno dei più noti e celebrati anime della storia, e in quanto tale è una serie (che si compone anche di due film, nella sua versione originale) che non necessita di presentazioni. L’aspetto notevole di quest’opera risiede nel fatto di risultare apprezzabile non solo dalla nutrita schiera di appassionati di produzioni nipponiche, ma da un pubblico veramente eterogeneo, e questo spiega l’anomala entità del suo successo.

Successo insperato a ben vedere, come testimonia la sua nota e sfortunata vicenda di produzione. A seguito dell’insuccesso registrato durante la prima messa in onda infatti, Hideaki Anno - geniale creatore di questo universo narrativo - e il suo team si sono visti progressivamente privare del budget che era stato loro preventivato all’inizio del progetto. Trovatisi improvvisamente senza soldi, sono stati costretti per necessità a reinventare gli ultimi episodi - riciclando disegni e utilizzando semplici didascalie per riempire i “buchi” - ottenendo un risultato sorprendente. La formula adottata è quella di una mise en abyme, creazione di uno spazio in cui la serie riflette su se stessa, sondando i propri abissi e orizzonti estetici e concettuali.

Questo aspetto - che può risultare aneddotico ai più - è invece centrale per individuare la portata di rottura che una scelta di questo tipo causa all’interno degli schemi consueti del genere degli anime. L’ingresso di questo elemento metanarrativo acutizza ulteriormente la tensione psicologica che caratterizza i personaggi, conferendo a questi un ulteriore livello di profondità. Ma le possibilità metatestuali offerte coinvolgono l’intero progetto artistico – la sua forma di serie televisiva – creando un infinito succedersi di connessioni. Creando dunque uno spazio per la riflessione in cui l’identità di Evangelion si frammenta e si proietta in universi altri – quelli del cinema, del video sperimentale, della letteratura, della psicologia, della filosofia – rivelando la radicale alterità che caratterizza il lavoro.

Bastavano i disegni impostati come inquadrature cinematografiche e il montaggio degno del migliore film d’autore europeo caratterizzante i primi episodi - che vedono introdurre come trama quella che potrebbe sembrare una semplice storia apocalittica, un combattimento fra alieni e “robottoni” - a rendere quest’opera superiore rispetto tutto quello che era stato prodotto fino a quel momento, e a quello che sarebbe venuto dopo. Ma la riflessione metacinematografica che emerge col lavoro “di fortuna” realizzato a seguito, a causa della carenza di fondi, è quello che fa veramente esplodere le possibilità immaginifiche di quest’opera che ha il respiro universale di un grande classico e l’audacia di un’opera d’avanguardia. Questo, in un’epoca in cui questi due grandi modelli sembrano, e sono più che mai, impossibili. Ma la forza arcana di Evangelion - opera sostenuta da tutta una stratificazione di simbolismi e costruzioni esoteriche spesso inserite con il solo scopo di depistare lo spettatore - è proprio quella di trasgredire le frontiere fra generi. Oltre le dicotomie fra cinema e prodotto di animazione, operazione commerciale destinata a un pubblico giovanile e raffinato esperimento artistico, l’opera rivela tutte le sfaccettature di un vero oggetto artistico.

Occorre notare, inoltre, come Evangelion porti benissimo i suoi venticinque anni, anche se recentemente è stata deturpata da un criminale nuovo adattamento su Netflix, fortunatamente prontamente rimosso a seguito delle proteste di fan e utenti. Questa felice conclusione ci insegna che un prodotto di questo tipo merita la cura e il rispetto che si prodiga al restauro di opere d’arte. Se il parametro per giudicare l’artisticità di un prodotto è oggi più che mai incerto, la garanzia del valore dell’opera in questo caso si misura nella possibilità offerta a un pubblico enorme – di diverse età e preparazione intellettuale – di provare delle esperienze talmente sbalorditive (e contrastanti) che ci fanno ogni volta sentire che guardando e riguardando Evangelion c’è sempre qualcosa in più da pensare, da immaginare, da esperire. Questo, con la consapevolezza che non si potrà mai comprendere veramente quest’opera, ma godendo e non biasimando tale complessità, perché è questa stessa infinità espressa in ventisei episodi e due film a rivelarne la ricchezza.