Fotografia: “Il pescatore di chiodi” di Giorgio Rossi

Una baracca all’ombra del Gazometro nella Roma della fine degli anni ‘70 nasconde un personaggio unico che vuole raccontare la storia della sua vita. La serie “Alfonso Perrotta - Pescatore di Chiodi” nasce dell’incontro del tutto casuale tra il Perrotta e il fotografo Giorgio Rossi.

Siamo rimasti colpiti dell’autenticità del fotoreportage e abbiamo chiesto all’autore di tornare per un’attimo indietro nel tempo per raccontarci come tutto è successo. Nel ricordare l’incontro, Rossi prende spunto da quella esperienza e ne traccia un paralellismo con la fotografia ai tempi di Instagram.

L’Amletico: Quel giorno, prima dell'incontro con Perrotta, cosa intendevi fotografare?

Giorgio Rossi: Era la fine degli anni degli anni 70 ed io ero dalle parti del porto fluviale di Roma, zona carica del fascino di archeologie industriali ormai abbandonate. Stavo fotografando verso il fiume quando mi si è presentato Alfonso Perrotta, un diciamo così “barbone” che abitava in una baracca a pochi metri da lì. Vedendomi con la fotocamera pensò che fossi un giornalista e mi chiese di fare un libro sulla sua vita. Ci accordammo per rivederci a breve.

L’A:  Che macchina fotografica portavi, quale pellicola utilizzavi?

GR: Tornai infatti qualche giorno dopo con una Nikon ftn photomic col 35mm e una Pentax con 28 e 50mm. Pellicola Ilford Hp4. La sensibilità di 400 Asa mi permetteva maggior latitudine di posa, quindi un margine d’errore recuperabile, potevo fotografare sia in esterni che eventualmente in interni. Molti reporter usavano la Tri-x Kodak, sempre a 400 Asa, per identiche ragioni. 

L’A. In che istante ti sei accorto che ti si era svelata una storia unica? 

GR: Io per verità ero solo agli inizi, non ero affatto un reporter, ma lui mi vedeva così. Aveva voglia di raccontarmi la sua vita e non volevo deluderlo. Chissà, a volte le affinità elettive esistono, lui aveva scelto me. Tornai dunque, anche con un registratore portatile a cassette. Avevo studiato cose che erano attinenti alla ricerca sul campo, al corso di Sociologia, Facoltà di Psicologia. Sapevo dell’importanza di registrare scrupolosamente le fonti, mantenersi neutrali, lasciare parlare. Non avevo la minima idea se quello che mi avrebbe raccontato sarebbe stato interessante o meno per altri, non avevo alcuna committenza, nessuna reale possibilità di trarre un articolo o un libro dal suo racconto, dalle foto che gli avrei scattato. Ero aperto ad uno scambio di pensieri alla pari, al di là di ogni possibile limite di appartenenza socio/culturale. 

Vabbè, avevo letto con passione testi di De Martino, Cirese, Leydi e altri, concetti di antropologia culturale, cultura egemonica e subalterna, etnomusicologia. Mi ero intrippato di country blues del delta del Mississippi quanto di musica popolare italiana. 

Ecco, era giunto il momento di chiudere i libri e metterli da parte, entrare nel vivo. La mia cosiddetta “cultura” doveva rimanere in background per potere accogliere quella di Alfonso. Con la saggezza dettata dalle sue esperienze, il suo sottile umorismo, con la sua consapevolezza che la vita è “una stronzata”,  divenne in un certo senso mio “Maestro di vita”. 

L’A: Perrotta e Dora hanno mai visto le fotografie?

GR: Ci volle ahimè molto tempo per scegliere tra le molte foto scattate quelle che ritenevo significative, per sintetizzare quanto avevo raccolto nelle registrazioni, ne feci un piccolo libretto, stampe 10x15cm e testi scritti con la Olivetti lettera 32, rilegato a spirale. Quando fu tutto pronto e tornai da Alfonso e Dora per presentare loro il mio piccolo lavoro, erano scomparsi. Insomma, una storia che mi coinvolse non poco, oggi quando vedo foto di barboni, indigenti e quant’altro, fotografie rubate passando senza soffermarsi, penso che sono del tutto inutili, non documentano nulla, non lasciano traccia né in chi le osserva né nel fotografo che le ha scattate.

Riposi il lavoro in un cassetto, per pudore, per rispetto nei confronti di Alfonso, mostrandolo solo ad amici fotografi. Furono loro a spingermi a pubblicarlo in proprio, una edizione limitata a 100 copie numerate,  alcune ne ho ancora a disposizione, per chi fosse interessato all’acquisto. Dai tempi di quell’esperienza fotografica, definirla lavoro in fondo è inappropriato, sono passati oltre 40 anni, siamo nel 2020. 

L’A: Cosa significa “fotografia” oggi? 

GR: Tutto e niente, come è sempre stato, come sempre sarà. Importante semmai sarebbe indagare sui propri “perché”,  il “come” deriva assai direttamente da quei perché. Sul web circola di tutto e di più, un vortice di parole e di immagini, a volte senza alcun senso. Tutti hanno qualcosa da insegnare. Vedo spesso poco riscontro tra quello che affermano e quello che producono fotograficamente, troppe parole, poca sostanza, ma che importa, basta essere accattivanti per attrarre e sedurre possibili followers. Poche sterili diatribe vengono ripetute all’infinito: analogico o digitale? Photoshop sì o no? Full frame? Obiettivi fissi o zoom? Ecc.

Mai come oggi l’interesse per la fotografia è vivo, le mostre di importanti fotografi hanno file all’entrata, visitarle è diventato un must come a suo tempo vedere il nuovo film di Almodovar, o di Woody Allen. Mai come oggi il fotografo fatica per portare a casa la pagnotta. Ando Gilardi diceva ‘meglio ladro che fotografo’, oggi più propriamente si potrebbe dire ‘meglio idraulico che fotografo’. Tutto si mescola, si livella.

Veramente 1=1? Nel mondo reale ci si conosceva direttamente e c’era rispetto reciproco, sul web siamo tutti uguali? È giusto che sia così? È del tutto normale che la prima arrivata, con due anni di fotocamera appesa al collo, o il giovane fotografo che inizia ad aver un poco di successo mi venga a dire: “tu chi credi di essere? scendi dal podio!”. “Non credo di essere nessuno, ho solo vissuto per oltre 30 anni vendendo la mia fotografia a riviste ed editori, quando avrai fatto altrettanto capirai, ammesso che tu ci arrivi, 30 anni non sono pochi.” Per lo più vedo una fotografia molto egocentrica, l’incapacità di vedere oltre i propri piedi è assai diffusa. Magari si partecipa a una pagina Facebook, a uno social di fotografia, ma solo per postare le proprie immagine e raccogliere eventuali like, non per osservare attentamente le immagini altrui.

Pochi hanno gli ‘strumenti’ per capire autonomamente se una fotografia gli piace davvero, se si sono lasciati suggestionare dal gregge di followers che grida al miracolo o si sono lasciati affabulare dal fotografo, che mai come oggi ha la necessità di essere o almeno apparire un personaggio. Nel limite della sua ‘home’ ognuno è un dio, trasuda di sensibilità, dispensa arte e cultura col sorriso. Visto con uno sguardo più ampio non è che un puntolino disperso nell’universo webbico. Se si vuole migliorare fotograficamente bisogna esplorare, ampliare il proprio bagaglio visivo, ben oltre i limiti del mondo fotografico ristretto in cui siamo immersi. Naturalmente non è solo un discorso di cultura, di tecnica, ci vuole una discreta sensibilità di partenza, credo sia una dote innata, difficile imparare a vedere, però si può migliorare, affinarsi. Insomma, la fotografia è molto democratica, è per tutti, ma non tutti sono per la fotografia. I workshop possono servire, ma serve assai di più lavorare su se stessi.

Per molti anni, con l’avvento della fotografia digitale, la fotografia analogica è stata trascurata, messa da parte, ritenuta retaggio del passato. A tal punto che non si trovavano più materiali sensibili e sviluppi e di conseguenza le vecchie fotocamere erano diventate sculture. Un poco per saturazione si è recentemente riscoperto il vastissimo mondo dell’argentico. 

La domanda crescente ha fatto sì che molti materiali dei quali era stata dismessa la produzione ora siano di nuovo reperibili facilmente. Forse è solo una moda, speriamo non passi. Oggi come oggi tutte le tecniche – dal dagherrotipo alla fotografia digitale – convivono e a volte vanno a braccetto, è una ricchezza di possibilità enorme. È dalla contaminazione continua che possono nascere nuovi modi di esprimersi o quantomeno la consapevolezza che il diverso da te esiste e lo hai accanto e se vuoi puoi frequentarlo. Vale per la fotografia, ma vale anche più ampiamente per il sociale in cui siamo immersi. 

Potete seguire Giorgio su Facebook

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Alfonso Perrotta – Pescatore di Chiodi


Questa è la storia della vita di Alfonso Perrotta, "pescatore di chiodi". Qualcuno potrebbe dirlo barbone, alcolista, accattone. Era nobile, signore, ricco. Nella vita ne ha viste di cose e, come lui stesso dice, purtroppo la vita gli ha voluto male. Ma cos'è la vita? È una stronzata, si nasce e si muore…

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La storia di una vita: al gasometro un uomo, notando la mia macchina fotografica, mi viene incontro e si presenta: Alfonso, Perrotta. Sicuramente sono un fotografo, un giornalista – pensa – quindi potrei aiutarlo a scrivere la storia della sua vita. Ha già pensato al titolo: "Pescatore di chiodi". Ci incontreremo ancora…

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Un essere derivato dai tedeschi: – Io non ho famiglia, non ho casa, non ho figli, e cerco umanità. Nel 1922 ho avuto una condanna: babbo, mamma, fratello e sorella sono morti tutti quanti per il dispiacere. Mi è rimasta solo una sorella che ha 83 anni e sta a S. Maria Capuavetere, mi scrive sempre. Il mio paese nativo, fondato dai longobardi, popolo ungaro-germanico, è Caserta, dove c'è Vanvitelli, quello che fece il palazzo reale più bello d'Europa. Ich liebe Deutschland, alle Deutschlaender, amo la Germania e tutti i tedeschi, perché il mio paese nativo fu fondato dai tedeschi. Un essere derivato dai tedeschi non è mica un essere basso, vero?! –

La mamma: – La benedico a mamma mia, diceva:
"Alfonso, bello di mamma,
tu tieni nome di re e di santo;
fa bene e scordati, fa male e pensaci,
mangia e bevi oggi e prega Dio domani." –

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Una leggenda: La pipa di Alfonso non funziona più, è intasata, provvedo a pulirla e gliela riporto dopo alcuni giorni. – Questa è la mia pipa? Bravo. Ti racconterò la leggenda di Teodolinda. In una piccola lontana nazione c'era un drago che tutti i giorni si doveva mangiare un'anima. Un giorno toccò alla principessa Teodolinda. Desolata, mesta, taciturna, tetra, attendeva la morte nella caverna del drago, perchè l'aveva mandata lì il babbo, il re. Il drago stava per divorare la principessa ma venne San Giorgio, un cavaliere armato di spada, invulnerabile e invincibile, e uccise il drago. Portò la principessa alla reggia e disse: "Ecco vostra figlia." Il re disse: "Tu sei padrone di mia figlia e di tutto il mio regno!" Così tu, Giorgio, sei padrone di pigliare tutto quello che vuoi, entriamo, beviamo! –

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L'ultimo:
- Mo’ andiamo dove vado a mangiare io e ci beviamo un bicchiere, pago io però! - Entriamo - Accomodati pure, io vado al gabinetto a spandere acqua. - Torna - Non hai comandato niente proprio; una bottiglia di Lambrusco, pago io! Poi restiamo col bianco.
- Dopo svariati bicchieri - Alfonso, questo per me è l'ultimo! -
- Giorgio, mi dispiace che mi vieni a dire che è l'ultimo.
L'ultimo è quando si muore. Non avere paura, mai paura. -

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Tatuaggi:
- All'ufficio antropometrico della questura ci hanno tutti i significati dei tatuaggi. Questo non significa assassino, significa amore vero:
"Amore e baci. Ti amo e ti adoro sino alla morte mia cara Angelina se vuole la sorte. "Angelina era una ragazza che faceva l'amore con me da ragazzi. Io questo l'ho fatto a 14 anni. Mi sono macchiato la condotta a 14 anni per dare due coltellate a un altro, a un prepotente, lo chiamavano Maciste. -

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La liberazione:
- L'otto settembre fu lo sfacelo, l'Italia voltò contro la Germania. Il 12 settembre ero a Finaborgo, provincia di Savona. "Stanno arrivando i tedeschi! stanno arrivando i tedeschi!" Con i compagni detenuti scappammo in massa, scassando i cancelli e
tutto quanto. Io arrivai a La Spezia. Allora andavo a vendere vicino ai soldati le cosiddette "Pompei" e "Grand' Hotel", riviste pornografiche. Quando incontravo gli americani dicevano: "Yes, how much?"
Invece gli inglesi: "No good! Get down it! Vattene via!" Mi strappavano tutto e mi davano botte, mentre gli americani mi davano soldi. -

A La Spezia con una mamma e una figlia:
- A La Spezia c'erano i bombardamenti tutti i giorni e la roba si trovava per strada. Io ebbi a campare con una mamma e con una figlia, facevo a limone con tutte e due. Tutto quello che trovavo lo portavo a loro. Essendo che a me mi piaceva di bere, gli raccontai tutti i fatti miei. Queste chiamarono la questura, perchè finita la guerra si riformò il corpo delle guardie, e mi fecero arrestare dopo 41 giorni
che ero evaso. Mi portarono a Migliarino, provincia di La Spezia. Sicché per due anni mi feci cinque anni e quindici giorni. Per una stronzata da nulla, un furto che erano 100.000 lire! -

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Bologna:
- Bologna è la città di Lodovico Ariosto, quello che ha scritto l'Orlando Furioso. "Chi troppo in alto sale cade sovente, precipitevolissimevolmente!"
Lo sai dire? Nel 1946 ero uscito in libertà e mi trovavo a Bologna, una donna mi voleva portare a casa sua ma non ci volli andare. Conosci Piazza 8 agosto? San Giovanni al Monte? San Vitale? Via delle oche? A Via delle oche c'erano i postriboli, i casini! Bologna è bella. Io ho girato, ho camminato, ho vissuto, ne ho viste di cose! -

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Marte e gli americani:
- Io ho letto, è d'obbligo dover imparare per non essere soggetti ad altri. Su un giornale c'è scritto: "Marte sprigiona ossigeno, c'è carbone,
c'è azoto, insomma c'è la vita." Lo dicono gli americani. Prima hanno dominato il mondo intero, ora nientedimenoche l'universo intero.
Perchè i russi non hanno fatto niente, gli americani comandano tutto, è vero? Almeno è l'idea mia... -

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Per forza di natura:
- Ho imparato il tedesco per forza di natura, sono stato due anni alla colonia agricola di Pianosa. Volevo scrivere a Soraya per avere un soccorso, così comprai il poliglotta italiano-tedesco da Sansoni e mi misi a studiare. In un anno imparai a leggere e scrivere in tedesco e sono analfabeto perchè non ho nemmeno la pagella di prima elementare. A Soraya non ho scritto mai, ma i tedeschi che leggono il mio
scritto si fanno meraviglia. -

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La Vita:
- Ma che è la vita? Non è niente, un nulla, si nasce e si muore. Ho 73 anni finiti, non ho fatto neanche la prima elementare ma posso
insegnare a parecchi. In questa terra si nasce e si muore. Tutti si è belli e si è brutti, tutti onesti e tutti disonesti, tutti buoni, tutti cattivi. Io sono nato senza camicia, morrò con la camicia. Sono già nobile, signore, ricco, ma che importa. La vita umana è una stronzata, bisogna saperla comprendere. -

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Il Bilancio:
- Ho 73 anni di età, ne ho fatti 38 di galera. La condanna più lunga ho fatto 15 anni: mancato omicidio e rapina, senza averli commessi, all'anima delli mortacci loro! Io sono un gran disgraziato e non voglio male a nessuno e purtroppo la natura mi ha voluto male. -

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Gli zingari, il caso, il Padreterno:
- Un giorno sono venute due giovanotto zingare, una mi dice: "Mi dai quei tendoni?" "Dammi duemila lire e pigliati i tendoni!" Sono andate via e dopo due giorni hanno rubato i tendoni. Allora è intervenuto il destino, la fatalità, il caso, il Padreterno che si dice Ente Supremo. E' venuta la pioggia e ha allagato tutto Ponte Marconi, ha portato via tutte le loro baracche e sono sfumati i tendoni. -

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- L'Ente Supremo:
- Io sei anni fa lavoravo ancora con il triciclo, un signore viene vicino a me. dice: "Dove vai?" "Vado a buscarmi il pane." "Come ti senti?"
"Eh, mi sento male..." "Queste sono diecimila lire, fatti un pranzo oggi, non avere paura." Dopo 10 giorni una signora vestita di nero, non so chi è, dice: "Come stai?" "Sto male signora." "Queste sono diecimila lire, vai a farti un pranzo oggi, non avere paura." Bisogna credere in un Ente Supremo che comanda l'universo. Io non so come si chiamano questi signori, sono benefattori mandati dall'Ente Supremo. -

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La conoscenza di Dora:
- Uscendo in libertà andavo ad accantonare, facevo il sordomuto e andavo ai Castelli Romani, sono 16 anni fa. Alla stazione di Frascati Dora venne vicino a me. Dice lei: "Dove va?" "Vado a Roma." "Anch'io vado a Roma - dice - famo il viaggio assieme." C'erano già due persone che la pedinavano, se la contendevano per godersela, allora gli ho detto: "Sentite, andate via, questa appartiene a me!" Perchè mi disse andiamo a Roma, facciamo il viaggio assieme. -

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Alfonso e Dora:
- Dora è marchigiana, io sono napoletano. Più volte mi ha detto: "tu sei un napoletano, sei un delinquente!" - Io sono un signore, sono nobile e umano. Nella mia miseria non gli è mai mancato niente. Mi devi credere, non sono mica un bugiardo, un buffone, un vanitoso!
L'ho portata pure a vedere il circo equestre americano e il cinema varietà. -

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Dalla signorina Cacchioni:
- Dora è andata via! Sta dalla signorina Cacchioni, a piazza del Grillo, rione Monti, il primo rione di Roma. Giorgio, devi convincerla a tornare.
- Davanti al portone - Io aspetto quì, fai tre bussate al campanello, è un segnale di amicizia. -

La signorina Cacchioni: "Quello si ubriaca, poi fa il cattivo, povera Dora, sempre quì viene a rifugiarsi."

“Sono 10 anni che conosco la signorina - interviene Dora - stavo a servizio qui prima di andare da Alfonso i primi anni. La signorina ha 93 anni e ha una gamba di legno. Devi dire ad Alfonso che vado giù più tardi, non posso lasciarla da sola."

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Dora e la luna:
"Lo vedi, ci ho ancora i lividi... Non sarebbe niente se beve e poi va a dormire. Invece Alfonso si arrabbia; è il vino, mica lo fa per
cattiveria, è un guaio... Li mandiamo tutti sulla luna gli uomini, mo’ tra poco faranno i viaggi più spesso. Le donne qua e gli uomini là, così prima che arrivano col bastone famo in tempo a scappare!"

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Il matrimonio:
- Ho vissuto tanti anni senza documenti, senza iscrizioni! Quando ci hai i soldi, la capacità, l'intelligenza, fai tutto come vuoi ovunque vai.
Io ho trovato otto puttane che ci ho avuto a che fare. Dopo aver soddisfatto il nostro piacere mi dicevano: "Sposami!"
"Ma chè ti sposo!" Sono un essere umano, sono sensibile, irascibile, compulsivo. Se la prendo sposa e uno che ha avuto a che fare con quella mi dice "a cornuto!" allora che devo fare, lo uccido o non lo devo uccidere? Perciò non mi sono voluto mai sposare. Vorrei avere tanti biglietti da 10.000 lire per quanti ce n'è di vigliacchi cornuti: siciliani, calabresi, pugliesi, napoletani, tutto il mondo è paese. -

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Pescatore di chiodi:
Dora - Ecco la calamita, Alfonso, così Giorgio fa la fotografia mentre fai il pescatore di chiodi. Piglia un bastoncino qualunque, anche quello dell'ombrello, tieni ecco lo spago. - Alfonso - "Va bene così? Si vede o no la funzione che fa? Vedendo una foto diversa dall'altra allora dicono: guarda, è la verità dei fatti! Dicono: questo è un povero pescatore!
Pescatore di chiodi , però! Non è mica come Pier Paolo Pasolini che ne pescava tanti di chiodi! - Ride - Così diceva la gente, io non lo so, e benedetto sia pure quel uomo perchè non era poi tanto cattivo, gli hanno fatto del male, non glielo dovevano fare...
"Pescatore di chiodi", quasi come "Pescatore di anime". Bisogna controllare se c'è già nei cataloghi, non voglio commettere
plagio, questione di diritti d'autore. -

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La "casa di cura":

- Ho dato una coltellata a uno che credevo mi voleva derubare mentre ero voltato, stavo pisciando vicino all'Ambra Jovinelli. Andai in causa a Piazzale Clodio e il tipo mi dette quattro anni di reclusione e sei mesi di
casa di cura: la casa di cura a modo loro vuol dire il manicomio. Il 30 marzo 1973 mi portarono al manicomio di Aversa. Io non sono pazzo, sono più sano degli altri. Per quanto sono disgraziato ce n'è di più disgraziati di me, aberrati, esaltati, allucinati. Si spogliano nudi e si buttano per terra quando piove e c'è il fango nel cortile. L'ultima settimana che stavo per fare, mentre pigliavo il caffe è venuto uno e mi ha dato 4 o 5 schiaffi in faccia. Io non ho reagito perchè se reagivo mi legavano sul letto di forza e mi davano un aumento di reclusione. Quello era un manigoldo del manicomio stesso per vedere se io ero pazzo. -

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Una canzone:
- Questa canzone che canto è una canzone che ha fatto un napoletano, ma viene cantata al festino di Santa Rosalia a Palermo, viene intitolata "Palermo è nu villino".

"Palermo è nu villino quanta felicità,
la terra e tutta d'oro, lo cielo accende già...