Addio Ulay

Ulay, pseudonimo per Frank Uwe Laysiepen, è morto lo scorso 2 Marzo all’età di 76 anni nella sua casa di Lubiana. Sentendolo nominare ci sovviene, immediatamente e involontariamente, la sua anima complementare Marina Abramovic, compagna d’arte e di vita, ma Ulay ha lasciato un’eredità indipendente nel panorama artistico contemporaneo sperimentando nella sua intensa esistenza diversi sentieri d’espressione.

Nasce il 30 Novembre del 1943 in Germania, a Solingen. Il padre è un gerarca nazista, che muore prematuramente lasciandolo orfano, giovane e perseguitato dal senso di colpa per le proprie origini, che lo tormentano fino a spingerlo alla rinuncia al nome e alla nazionalità tedesca.

È la fine degli anni Sessanta e nei Paesi Bassi divampa il movimento contro culturale Provo. Un Ulay poco più che ventenne ne viene inesorabilmente attratto e decide di trasferirsi ad Amsterdam, una scelta che lo porta poi ad abbandonare l’università per avvicinarsi allo studio della fotografia analogica e delle istantanee, diventando poi consulente di Polaroid dal 1970. La sua curiosità anticonvenzionale lo guida ad intraprendere una ricerca attraverso la dimensione dell’identità legata alla nozione del corpo come strumento creativo, e inizia a documentare attraverso la fotografia e le live performance la cultura di travestiti e transessuali dando vita agli intensi progetti di Fotot e There is a criminal touch to art.

Il lavoro di Ulay nel panorama delle performance artistiche è innovativo e accattivante, ed è proprio durante una di queste che conosce Marina.  Il percorso della loro celebre relazione non necessita forse di descrizioni: un rapporto viscerale e travagliato ma l’unico possibile tra le loro due anime eclettiche e inconsuete. Le loro performance trascendono una realtà che viene usurpata ad ogni esibizione, come può raccontare la celebre “Rest Energy”, del 1980. Quattro intensi minuti definiti dalla Abramovic come i più difficili: l’uno di fronte all’altro, i due artisti sono sospesi nella tensione di arco e freccia, sbilanciati all’indietro, ed entrambi ascoltano i reciproci respiri sempre più rapidi. Una totale e assoluta fiducia nell’altro nel concedersi il pericolo di morire, ad un minimo possibile cedimento.

Attraverso la loro filosofia di vita di “Movimento Permanente”, come da loro definito, condividono gli anni più belli viaggiando molto e sopravvivendo con lo stretto necessario. La serie di lavori realizzati dalla coppia è denominata “Relationd works”: mediante i concetti di vergogna e pudore che vengono esplorati e sperimentati in Imponderabilia, e quelli di dipendenza e resistenza di Breathing in/Breathing Out, la coppia esplora il complesso mosaico dei limiti dell’essere umano esasperandoli allo stremo della resistenza e dell’accettazione. Gli ultimi anni della loro relazione vengono raccontati come infernali, e i due non si incontrano per 23 anni fino al Moma di New York durante la performance “The Artist is Present”.

In molti hanno criticato negli anni le modalità d’espressione artistica dei due, ma aldilà delle opinioni personali non si può che riconoscere il loro indiscutibile ardore nel raccontare l’enigma della natura umana tramite la tela dei propri corpi.

Come ha dichiarato la Abramovic, in una nota ufficiale del Marina Abramovic Institut: “È con grande tristezza che ho appreso oggi della scomparsa del mio amico e precedente partner Ulay. Era un magnifico artista e essere umano e mancherà moltissimo. Oggi è di grande conforto sapere che la sua arte e la sua eredità vivranno per sempre”.