Femminismi e uomini: Due saggi attualissimi di Lorenzo Gasparrini

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Femminismi digitali

Sul web si parla sempre più di femminismo. In un’epoca di rovesci, regressioni, rigurgiti di vario e infimo genere succede anche questo, che definirsi femminista diventi una moda. Dalla moda si genera un’estetica, un linguaggio, un discorso nuovo e accattivante che fiorisce nell’etere e produce degli effetti nel reale: duraturi, contingenti, radicali, effimeri, sorprendenti. C’è chi, guardando la proliferazione di blog, pagine instagram e influencer che trattano il tema parla di Femminismo 2.0 o Neo-femminismo, banalizzando la portata di questo fenomeno. Parlare di cesure col passato o di un “femminismo storico” come qualcosa che ha esaurito la propria linfa vitale risulta in ultima analisi riduttivo, specie quando ci accorgiamo che quello che esploriamo sui social si rivela essere, piuttosto, un prisma che mostra una gamma variopinta e sfumata di voci che si intrecciano e si sovrappongono, a volte in maniera strutturata, a volte in maniera confusa.

Succede che questo discorso trova una comunità sempre più social - perché la necessità di una serie plurale di risposte a una problematica comune si scopre essere un fatto altamente mediatico, collegandosi a un’esigenza che radica le sue radici in profondità nel tessuto sociale - composta anche da un’ala che ne interpreta le istanze più frivole e mondane, travisandone la reale portata dell’evento. Un’ala che quando dispiega l’ampiezza del suo charme, del suo appeal riesce talvolta ad oscurare la fisionomia organica del corpo del movimento, divenendo spesso per questo stesso motivo oggetto di feroce odio da parte dei suoi numerosi detrattori - haters e leoni da tastiera -, finendo per polarizzare la discussione in condizioni tali che diventa impossibile ogni sorta dialogo.

Accade che lo stesso uso del termine “femminismo” avviene, il più delle volte, in maniera impropria, utilizzando un singolare che sarebbe più opportuno sostituire con un più inclusivo e arioso plurale – come ci incoraggia fra i tanti lo stesso Gasparrini. Parlare di “femminismi”, infatti, rende giustizia a un movimento che opera in ambito transdisciplinare e che contempla una enorme varietà di voci e correnti, e che ha fatto proprio della pluralità la sua forza.

I due saggi

Filosofo femminista, Lorenzo Gasparrini è una delle figure più autorevoli nel panorama italiano a trattare la questione aperta e in divenire dei femminismi, operando nei sensi di una divulgazione impegnata e colta, con un occhio vigile e acuto sul presente. Con i suoi saggi Perché il femminismo serve anche agli uomini e NO. Del rifiuto, di come si subisce e come si agisce, e del suo essere un problema essenzialmente maschile, ci offre due testi importantissimi, addirittura essenziali, per permettere di muoverci con consapevolezza e intelligenza nella complessità della questione dei femminismi oggi e delle implicazioni che riguardano l’uomo. I due saggi, infatti, denunciano già dal titolo di voler esplorare la cosiddetta “questione maschile” che viene troppo spesso banalizzata, oppure confusa, con quella pretestuosa “crisi del maschile” che Gasparrini ironicamente decostruisce. Ma di cosa trattano i due testi? E come declinano ognuno in modo originale tale nucleo teorico condiviso?

Perché il femminismo serve anche agli uomini (Eris, Milano, 2020) è un libricino piccolo e denso. Quasi una guida, che tuttavia non ha nulla del manualetto pratico e disponibile a una lettura mordi e fuggi. È un libro che piuttosto si legge in un morso grazie alla brevità ma anche all’intelligenza e alla semplicità ricercata e spontanea con cui si presenta la questione, che si gusta con piacere grazie all’abile scrittura. Il titolo non potrebbe essere più esplicito: la risposta lo è altrettanto, chiara e concisa. Gasparrini critica il modello di mascolinità tradizionale, mostrando come questo sia – contro ogni stereotipo – addirittura castrante per l’uomo. Questo, grazie agli strumenti critici di quel “femminismo”, delle sue lotte, che viene troppo spesso etichettato come un fatto esclusivamente femminile. Non lo è. E cinquantotto pagine, oltre a decostruire, propongono metodi fertili per costruire, riscoprendo un modo, anzi molti modi, di poter essere uomini che è insieme più libero e consapevole, e non debole ed edulcorato come vorrebbe rendere la propaganda anti-femminista che imperversa sul web. Infatti, contraltare del crescente successo del femminismo sui social è il fomentarsi di una folta schiera di detrattori, ottusamente ostinati, che aprioristicamente lo respingono con violenza. La logica oppositiva da stadio impiegata è quella che caratterizza l’argomentazione di quelli che vogliono definirsi incel, sospesi fra l’aggressività e il bisogno di compassione, o che militano nel Forum dei brutti, dove possono dare sfogo alla loro brutalità codarda. C’è addirittura un versante “moderato” di questi anti-femminsiti, che parlano di resistenza al nazi-femminismo, e che hanno trovato nelle argomentazioni pacate ma intellettualmente bislacche di Marco Crepaldi un punto di riferimento. Ma tutte queste questioni, intrecciate a fenomeni di scottante attualità come con il caso del revenge porn, sono ampiamente trattate negli articoli che Gasparrini scrive su Bossy, che consigliamo di recuperare, per chi non li conoscesse già.

NO. Del rifiuto, di come si subisce e come si agisce, e del suo essere un problema essenzialmente maschile (Effequ, Firenze, 2019) è un saggio decisamente più corposo in termini di volume. Come si evince dal titolo, il suo contenuto si incentra sul tema del rifiuto, e della difficoltà della sua accettazione da parte dell’uomo a causa delle aspettative sociali alienati di cui è esso oggetto. Che esso arrivi da una donna o da un datore di lavoro, questo “no” – infatti - non è un semplice rifiuto a una richiesta, una avances, un desiderio, ma qualcosa di molto complesso e stratificato, che si carica di valenze molteplici, e che rendono questo stesso rifiuto qualcosa di ingestibile, definitivo, annichilente per ogni uomo che si identifichi rigidamente con il canone maschile tradizionale. E allora, occorre ancora decostruire, leggere questo saggio per sciogliere queste determinazioni che rafforzano il “no”, mostrando una realtà che è bene imparare ad accettare per stabilire un dialogo più sincero e onesto con la propria interiorità. Si tratta di riscoprire una dimensione emotiva intimamente maschile che viene troppo spesso censurate e condannata come “effeminata”. Contri gli stereotipi tossici (per l’uomo in primis) del maschio alpha e delle sue prestazioni, necessariamente efficaci e pragmatiche, Gasparrini parla della condizione paradossale dell’uomo, della difficoltà di esser uomo oggi, di vivere le contraddizioni, e cita numerosi esempi virtuosi di eroismo, al di fuori dai rigidi e sclerotici canoni consacrati dall’immaginario ufficiale. Nomi che vanno da celebri attori a campioni dello sport, figure ispirate che possono servire da ispirazione, grazie alla loro realtà e non alla conformità a quello stesso canone che, a conti fatti, finalmente si rivela essere irrealista, vuoto, retorico.

Allora come non consigliare l’acquisto di questi due testi? Due letture profondamente introspettive e orgogliosamente attuali che possono suscitare interrogativi, riflessioni che vale la pena porsi. Due letture che possono intercettare un percorso interiore che forse tanti di noi facciamo, consciamente o inconsciamente, ma che ora è più che mai urgente dare voce.