Sul set con Sergio Leone

Il set cinematografico di Sergio Leone è all’Ara Pacis. Manca solo il regista e la macchina da presa, per il resto c’è tutto quello che occorre per girare un film. Alla mostra C’era una volta Sergio Leone si può camminare sugli assi di legno di C’era una volta il West, vestire (con gli occhi) il poncho indossato da Clint Eastwood in Per un pungo di dollari, e rispondere al telefono della scena iniziale di C’era una volta in America

Guidati dalle musiche di Ennio Morricone, si ripercorrono tutte le scene della vita del regista romano.

E allora, come direbbe Leone: “Azione!”.

Le origini

Roberto Roberti è il nome che il padre di Sergio Leone usa al lavoro. Sì, perché non vuole far sapere ai genitori che si guadagna da vivere nel mondo del cinema. Ed è tra un film e l’altro che Vincenzo Leone conosce Francesca Bertini, madre di Sergio. Il piccolo cresce nel quartiere di Trastevere, ovviamente alla sua maniera: molto cinematografica.

“Dalla scalinata venivamo giù a toboga con dei pannelli di legno”, è uno dei ricordi scritti da Sergio Leone che si trovano lungo il percorso espositivo. “Ci pisciavamo sopra perché scivolassero meglio”. E da lì poi andavano a tirare i sassi ai ragazzi di Monteverde, si legge in uno dei pannelli. Ma gran parte della sua gioventù Leone la passa al cinema.

Il primo film lo vede a dieci anni. Ombre rosse di John Ford. Anche se il suo punto di riferimento resta Charlie Chaplin: “Ho fatto i film grazie a lui”. A 32 anni fa il suo debutto come regista. Gira Il colosso di Rodi (1961), ma il genere western lo affascina di più. Nel 1964 arriva Per un pugno di dollari, firmato con lo pseudonimo inglese Bob Robertson, che significa “figlio di Roberto Roberti”.

L’accusa di plagio 

All’inizio il film non trova grande successo e viene anche accusato di plagio dal regista giapponese Akira Kurosawa. Le sue lamentele sono fondate. Sergio Leone era rimasto colpito da La sfida del samurai e l’aveva voluto trasformare in western. Nella mostra si può leggere l’accordo raggiunto tra i due, con cui il regista nipponico ottiene i diritti di distribuzione del film in Estremo Oriente. D’altra parte Sergio Leone prende spunto da tutto ciò che lo circonda, specialmente l’arte.

Leone e l’arte

Pietre preziose, dipinti e gioielli d’epoca invadono casa di Sergio Leone. Fa spesso visita alle gallerie d’arte, dove compra oggetti che poi compaiono nei suoi film. Come le geometrie di Giorgio De Chirico, i paesaggi immaginari di Cervantes e la pittura di Edward Hopper. Brevi video a metà della mostra illustrano i paragoni. Ma l’aspetto che caratterizza maggiormente le pellicole di Leone sono le musiche.

Le musiche di Ennio Morricone

A firmare gran parte delle colonne sonore dei film di Sergio Leone è Ennio Morricone. “Se è vero che ho inventato nuovi personaggi western”, dice il regista romano, “è stato Ennio a farli parlare”. Leone vuole essere ispirato dalla musica. E nel film Per un pugno di dollari chiede a Morricone di scriverla prima di iniziare riprese.

A volte, però, va diversamente. “Avevo scritto la musica con l’orchestra”, racconta Morricone del film C’era una volta il West. “Quando andiamo in sala mix, non c’era nulla. Solo rumori: un mulino che girava, il ronzio di una mosca, un gallo che cantava e altri suoni. Lui fa: ‘Ti piace?’. ‘A Sergio’, gli faccio, ‘sai che ti dico? Mi piace, lasciala così’. ‘Bravo’, mi rispose, ‘è la musica più bella che hai mai scritto’”.

L’attenzione di Sergio Leone per ogni singolo rumore del film è enorme. Durante la mostra, in un video si vede un rumorista ripetere lo sferragliare delle staffe dei cavalli attraverso un cavatappi, il suono degli zoccoli con delle ciotole, lo scrosciare dell’acqua del mulino con dei bicchieri. Non di rado consigliava anche lo stesso Morricone.

Il rapporto tra i due è veramente stretto. E lo dimostrano alcuni video in esclusiva che saranno pubblicati a breve in un documentario. Tanti aneddoti, uno di questi riguarda gli appuntamenti tra i due. “Sergio era sempre puntuale”, ricorda Morricone, “arrivava sempre un’ora dopo l’orario che ci eravamo dati. Né un minuto prima né uno dopo”.

Un’altra grande amicizia è stata quella del regista romano con Carlo Verdone.

Leone e Verdone

Sergio Leone ha saputo intuire il talento del giovane Verdone sin da subito. “La prima volta? – ricorda Verdone in un’intervista video che appare nella mostra –. Ci incontrammo a casa sua, all’EUR. Mi fissò per un minuto, poi mi disse: ‘Devo ancora capì perché me fai tanto ridere’”. Con lui Sergio Leone era anche molto cinico. “Una sera eravamo a un ristorante”, dice Verdone, “e mi fa: ‘Quanto pagheresti per fare un film con De Niro? 10 milioni?’. Io gli rispondo: ‘Certo, ci metterei la firma subito’. Si fa portare un tovagliolo dal cameriere e me lo fece firmare là”.

L’eredità

Nel mondo del cinema, oggi si sente spesso dire: “Mi fai un primo piano alla Sergio Leone”. Così almeno si riferisce Quentin Tarantino ai suoi collaboratori per indicare non tanto l’inquadratura, ma la sensazione che Leone riusciva a trasmettere con le sue immagini. L’intensità dello sguardo, il pathos, il dettaglio. Basta una telecamera a Leone per trasmettere il suo messaggio. “Non sapeva parlare l’inglese, parlava romano”, dice John Carpenter”, ma con i suoi film comunicava a tutti”. 

L’ultima scena del percorso espositivo è un collezione di ricordi. Un vero e proprio cinema dove si possono ascoltare i pensieri dei suoi colleghi. Dopodiché si esce, immaginando che, forse, dietro le telecamere di sorveglianza c’è Sergio Leone ancora intento a filmare.