L'Amletico

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L'uomo che restaurò la Cappella Sistina: la storia di Gianluigi Colalucci

Tutti nel mondo conoscono la Cappella Sistina, e tutti la associano ad un solo nome, quello di Michelangelo Buonarroti. Non tutti sanno che nella stessa Cappella lavorarono anche Botticelli, Perugino, Pinturicchio e altri grandi artisti del Quattrocento, e pochi saranno in grado di comprendere quella “immane sciarada teologica”, come l’ha definita Antonio Paolucci. Infine quasi nessuno, se non gli addetti ai lavori e gli studiosi del settore, sanno che se oggi la ammiriamo nel suo splendore quasi originale, con i colori accesi e preziosi, intensi e cangianti, lo dobbiamo ad una persona, a Gianluigi Colalucci.

Restauratore di grande importanza, noto proprio per essere stato a capo dell’importantissimo restauro della Sistina, Colalucci si è spento all’età di 92 anni. Se siete stati almeno una volta nella Cappella Sistina, allora dovete conoscere la sua storia e quella del restauro degli affreschi di Michelangelo.

Gianluigi Colalucci era una specie di homo novus, poiché proveniva da una famiglia di avvocati ed entrò nell’allora esclusivo mondo del restauro, fatto di nobili e figli d’arte. Formatosi presso l’Istituto Centrale per il Restauro (ICR), sotto l’egida di Cesare Brandi (non proprio uno a caso, ma l’ideatore della Teoria del restauro nonché fondatore dell’Istituto), si fece presto notare per capacità e intelligenza. Nel 1979 venne nominato restauratore capo del “Laboratorio restauro Dipinti e Materiali Lignei” dei Musei Vaticani, e l’anno seguente fu nominato capo del restauro della Cappella Sistina.

Cominciava allora uno dei restauri più importanti, delicati e discussi di sempre, che avrebbe dovuto ripulire gli affreschi di Michelangelo dalla pesante patina di fumo e fuliggine stratificatasi nei secoli, per riportare in vita il colore originale. Se la gioia e il privilegio dovevano essere enormi e incontenibili, anche la responsabilità doveva gravare non poco su di lui. Tutta la comunità scientifica fatta di accademici, studiosi, storici dell’arte, ma anche tutta l’opinione pubblica, guardava con apprensione e un certo scetticismo a questa operazione. Le polemiche che seguirono il corso dei lavori furono numerose, quasi tutte rivolte ad una (presunta) eccessiva pulizia, che avrebbe alterato il vero colore michelangiolesco.

Ma come iniziò tutto? Come capirono che gli affreschi dovevano essere puliti?

Come racconta lo stesso Colalucci nel bellissimo e intenso libro “Io e Michelangelo”, cominciò tutto quasi per caso. Salito sui ponteggi della controfacciata, dove due suoi colleghi stavano restaurando gli affreschi tardo-cinquecenteschi di Matteo da Lecce e di Hendrick Van den Broeck (sì, ci sono anche questi illustri sconosciuti in Sistina), si arrampicò con loro fin sulle lunette, grazie ad un innalzamento del ponteggio sottostante. A quel punto si ritrovarono vicinissimi alla volta affrescata. “L’impressione era forte. L’essere a tu per tu con gli affreschi di Michelangelo era come aprire una tomba etrusca, trovarsi di fronte a un tesoro. Eravamo euforici perché nessuno di noi sino a poco prima avrebbe mai immaginato di poter arrivare a toccare il Michelangelo della volta.”

A quel punto, prosegue Colalucci nel racconto, “siccome il restauratore non sa stare fermo con le mani”, provò a strofinare un paio di centimetri di pittura con un fazzoletto inumidito di saliva. Si erano resi conto che quegli affreschi giacevano sotto una pelle scurissima e compatta che alterava completamente i colori originali. Tornarono il giorno dopo per un sondaggio vero e proprio. La prova di pulitura, grande quanto un francobollo, confermò i suoi sospetti, e diede il via ad uno dei restauri più importanti della storia.   

Sotto lo sguardo curioso, incredulo e sbalordito di una troupe giapponese, che seguì tutto il restauro documentandolo (dopo averlo finanziato interamente in cambio dei diritti sulle immagini), i lavori si protrassero per quasi tre lustri; quattordici anni in cui Colalucci e i suoi collaboratori lavorarono indefessi, perennemente a contatto con gli affreschi, tanto da instaurare quasi un legame affettivo con essi e con Michelangelo. Il rapporto con l’affresco era diventato palmare, Colalucci conosceva a menadito ogni centimetro della superficie pittorica, ogni angolo, ogni dettaglio, ogni segreto. Me lo immagino abbarbicato sul ponteggio, ricurvo in qualche scomoda posizione, emulando così il pittore che dipingeva in piedi con la testa rivolta al soffitto, con i colori che gli gocciolavano sul viso dipingendolo come un arlecchino (“e ‘l pennel sopra ‘l viso tuttavia mel fa, gocciando, un ricco pavimento” scrisse lo stesso Michelangelo in un celebre sonetto). Il rapporto così stretto con quei titani dipinti, con quelle figure tormentate, aveva innescato in Colalucci un sentimento intenso nei confronti delle pitture, quasi viscerale, e infatti, come racconta quasi commosso in un’ intervista, quando tornava in Sistina non sempre riusciva ad alzare lo sguardo per vedere la volta.

La scomparsa di questo piccolo gigante è una perdita enorme per il restauro italiano e internazionale, la perdita di un maestro che ha cambiato le sorti della storia dell’arte con il restauro della Sistina, permettendo finalmente di vederla con i colori originali. Sotto le sue mani sono passati alcuni dei grandi capolavori della storia dell’arte occidentale, dal Giotto degli Scrovegni al San Girolamo di Leonardo, fino ad opere di Raffaello, Tiziano e Caravaggio.

Ricordo di averlo conosciuto alcuni anni fa, non so più se fosse in occasione della presentazione di un libro o una mostra, ma poco importa. Ricordo però il momento esatto in cui mi presentai e gli strinsi la mano, quella mano che mi parve così grande, affusolata, consumata e vissuta, una mano davvero bella (come gli disse una volta una signora di mezza età in Palazzo Medici Riccardi a Firenze, “sono delle belle mani che sanno quello che fanno”). Per un attimo mi sembrò, con un pensiero forse un po' sciocco e infantile, di aver stretto la mano a Michelangelo stesso, come per una magica trasmissione di contatti.

Tornare in Sistina non sarà più lo stesso, guardando la scena centrale della volta, quella della Creazione di Adamo, penserò a quel tocco divino, a quell’afflato vitale, come il tocco miracoloso tra Michelangelo e Colalucci.