Mister Wonderland, il più grande proprietario di cinema al mondo negli anni Venti

Se il cinema è diventato così importante in America, lo deve anche a un italiano: Sylvester Zefferino Poli. Chi era? Lo racconta il regista Valerio Ciriaci nel documentario Mister Wonderland.

La storia dell’imprenditore di Bolognana, provincia di Lucca, parte dal paese toscano il 31 dicembre 1858, giorno della sua nascita. Poli cresce in una società chiusa, dove la principale forma di sostentamento è l’agricoltura. Suo padre è un contadino, lui invece decide di intraprendere il mestiere di figurinaio. Una professione che lo porta negli Stati Uniti, dove negli anni Venti diventerà il più grande proprietario di teatri al mondo. Ed entrerà anche in contatto con il presidente degli Stati Uniti d’America: Theodore Roosevelt.

Ma chi sono i figurinai e come riesce Poli diventare famoso? L’abbiamo chiesto direttamente al regista Valerio Ciriaci.

Zefferino Poli inizia la sua carriera come figurinaio. Quando nasce questo lavoro?

Nel XVIII secolo, ed è tipico della provincia di Lucca. Al tempo il gesso era un materiale che si poteva reperire senza troppi problemi, povero e facile da modellare. I figurinai cominciano così a vendere queste statuine, che erano prevalentemente a carattere religioso e pensate per il popolo, per avere delle figurine a casa: l’utilizzo più comune era per i presepi.

Quello dei figurinai era un lavoro che ti portava a viaggiare tanto, e così molti artigiani iniziano a emigrare. Partivano per le grandi capitali europee e andavano a vendere le statuine di gesso nelle piazze. E infatti Poli emigra a Parigi da giovanissimo e svolge proprio questo lavoro prima di passare alla scultura in cera.

Purtroppo questa forma di artigianato è andata scomparendo con l’avvento della plastica. Ma c’è ancora qualcuno che porta avanti la tradizione. Come a Bagni di Lucca o nella stessa Coreglia, dove all’arte della figurina hanno dedicato anche un museo.

La storia di Poli è anche di emigrazione. Quando arriva in America?

Nel 1881. A New York lavora all’Eden Musée dove si specializza nella scultura in cera. Poi arriva il successo. Gli viene affidato un lavoro importante: realizzare la rappresentazione in cera di un caso di cronaca molto seguito all’epoca. Guadagna bene e decide di mettersi in proprio, aprendo un suo museo delle cere a New Haven. E qui comincia a sperimentare altre forme di spettacolo, come il vaudeville, ospitando delle brevi rappresentazioni teatrali e atti di giocoleria. Il successo di questi spettacoli di varietà lo convince a lanciarsi in una nuova avventura imprenditoriale e ad aprire il suo primo teatro, il Poli’s Wonderland.

È questo il motivo per cui il titolo del documentario è Mister Wonderland?

Esatto. Poli’s Wonderland è il suo primo teatro. È dove la magia di Poli comincia. È importante anche perché è qui che diventa una pioniere del cinema negli Stati Uniti organizzando le primissime proiezioni dei film dei fratelli Lumière e di Thomas Edison.

Qual è stata la chiave del suo successo?

Ha capito prima l’importanza del teatro, e poi del cinema, per le masse di operai che vivevano nelle città del nord-est degli Stati Uniti. In un periodo in cui il giorno di lavoro in fabbrica durava fino 12 ore, e la vita era particolarmente dura, i suoi teatri offrivano “un’ora” di fantasia e di intrattenimento. E poi i biglietti avevano un prezzo popolare, alla portata delle fasce più povere della popolazione.

Nei suoi teatri “un operaio può sentirsi un re”, come dice lo storico Anthony Riccio nel documentario.

Questi posti erano stupendi e c’era tantissimo pubblico (ndr, uno dei suoi teatri aveva la capienza di 3200 posti). Sono luoghi che hanno democratizzato l’intrattenimento. Dove c’erano poveri e ricchi, uomini e donne. Cosa che non era affatto scontata per il periodo.

I suoi teatri hanno quindi svolto un ruolo importante per la società.

Per gli operai, la maggior parte immigrati, i teatri erano importanti perché permettevano loro di integrarsi nella vita americana e imparane la storia e la lingua.

Per quanto diventa famoso, il presidente Roosevelt gli invia una lettera. Cosa c’era scritto?

La lettera di Roosevelt ha dell’incredibile. Il presidente si congratula con lui per il 50esimo anniversario delle nozze. Poli aveva un cinema a Washington DC, forse il presidente era andato lì a vedere uno spettacolo e i due si erano conosciuti in quell’occasione. Purtroppo non abbiamo trovato altre informazioni al riguardo.

In ogni caso, il fatto di ricevere una lettera dal presidente in persona fa capire a che livello Poli era arrivato. Nessuno se l’aspettava. Un figlio di contadini che sbarca in America e crea un impero di teatri. Impensabile. Era molto difficile affermarsi fino a quel punto per un immigrato di prima generazione, mentre lui era riuscito a diventare parte dell’élite culturale di quegli anni. Frequentava politici, personaggi dello spettacolo. Si dice abbia più volte ospitato Charlie Chaplin nella sua villa in Connecticut. Insomma, ce l’aveva fatta.

Per affermarsi ha dovuto però combattere i pregiudizi dell’epoca verso gli italiani. Nel documentario, lo storico Anthony Riccio dice che le persone provenienti dall’Italia del Sud erano considerati in America “subumani”. Il successo di Poli è anche nell’aver saputo superare gli stereotipi?

Sicuramente. Quando Poli arriva in America, il potere era tutto nelle mani dei White Anglo-Saxon Protestants. Gli immigrati italiani venivano discriminati, e si sono verificati anche dei linciaggi. Era il periodo in cui era in voga l’eugenetica (ndr, disciplina che vuole sviluppare le qualità di una razza partendo dall’eredità genetica) e si credeva che le masse di italiani arrivati in America rischiassero di “compromettere la purezza genetica” anglo-sassone.

Tra l’altro, quelli che provenivano dalle regioni del Sud Italia non erano nuovi a questo tipo di discriminazioni. Visto che le prime teorie eugenetiche venivano proprio dal nostro Paese, da quel Cesare Lombroso che teorizzava una presunta inferiorità dei popoli del Meridione rispetto a quelli del Nord.

E oggi?

Oggi gli italo-americani sono un gruppo che si è affermato. Li troviamo a ricoprire le più importanti cariche dello Stato, per non parlare del mondo dello spettacolo. Una storia come quella di Poli non farebbe notizia insomma.

Questa integrazione è passata anche attraverso l’appropriazione di simboli e miti propriamente americani, come quello di Cristoforo Colombo. Dobbiamo aggiungere che, a partire dal secondo dopoguerra, una fetta importante della comunità è diventata sempre più conservatrice, in alcuni casi sposando cause apertamente xenofobe e nativiste. Si è praticamente ribaltata la situazione: diventando loro stessi classe egemone, molti dei discendenti di immigrati italiani si sono trovati a riprodurre quegli stessi meccanismi di oppressione e di discriminazione razziale di cui i loro nonni o bisnonni erano state vittime.


Nonostante il successo in vita, l’eredità di Poli è scomparsa. Come è potuto accadere?

Poli vende i suoi teatri negli anni Trenta alla catena Loew, (ndr, oggi una delle più importanti nel Nord America) e muore nel 1937. I teatri che ha costruito cominciano a svanire a partire dagli anni Cinquanta/Sessanta, con il declino delle città industriali americane, soprattutto nel nord-est degli Stati Uniti. 

Cosa succede? Le fabbriche si allontanano dai centri città che cominciano a riconvertirsi, offrendo diversi tipi di lavoro (settore terziario per esempio). Le politiche urbanistiche adottate dalle amministrazioni di quegli anni (conosciute come "urban renewal") finiscono per trasformare la vita cittadina. Con il boom dei sobborghi e delle automobili, la priorità diventa la costruzione di autostrade che ti portano a lavoro la mattina, e che ti riportano a casa nei sobborghi. Il tempo libero non si passa più nei centri città, o “downtown” come vengono chiamati qui. Sono anche gli anni in cui si diffonde la televisione che entra in ogni casa, così i teatri delle downtowns cadono via via in disuso.

Tuttavia i parenti sono sulle tracce del loro antenato, come mostra il documentario. L’aspetto curioso è che il vostro lavoro si è intrecciato con quello dei discendenti di Poli.

Quando abbiamo iniziato la nostra ricerca qui, negli States, abbiamo incontrato Tim, uno dei discendenti di Poli che era interessato a conoscere le sue origini (aveva già fatto alcune delle ricerche sui suoi antenati). A volte i documentari hanno questo potere catalizzatore, di creare nuove storie, di mettere in moto dei meccanismi dove realtà e documentario si intrecciano e si influenzano a vicenda. Ed è successo con questo film.

Tim Poli, discendente di Zefferino Poli

Tim Poli, discendente di Zefferino Poli

Dei circa trenta teatri di Poli quanti ne rimangono?

Ne sono rimasti pochi, purtroppo. I due che mostriamo nel film sono entrambi in Connecticut: uno a Bridgeport, il Majestic, che è in stato di abbandono e l’altro a Waterbury, il Palace, che invece è stato restaurato nel 2004. Il secondo continua ad attrarre pubblico da tutta la regione e sta aiutando a dare nuova vita alla downtown di Waterbury e a tutti quei ristoranti, bar e servizi che vi ruotano attorno. 

C’è il rischio per i cinema di scomparire?

Non potrà mai venir meno l’aspetto della socialità. Il cinema è diverso da Netflix e dalle piattaforme di streaming. È un’esperienza a sé. Il cinema è il pubblico. E chi fa film, come me, lo vuole vedere poi sul grande schermo. Ma ci vuole più attenzione per i cinema, soprattutto da parte dello Stato e delle amministrazioni locali. La regola del profitto a tutti i costi non funziona. Servono politiche e contributi pensati al sostegno delle sale cinematografiche e in particolare di quelle piccole sale che propongono film indipendenti e non solo quelli dal sicuro successo commerciale.

Valerio Ciriaci (regista di Mr. Wonderland)

Valerio Ciriaci (regista di Mr. Wonderland)

Quale riflessione deve fare il cinema?

Non ha bisogno degli sfarzi delle sale di Poli. Basta uno schermo grande, poltrone comode e la luce che si spegne. Il cinema è questo: la luce che si spegne e il proiettore che si accende. Per un momento, la realtà fuori si ferma ed entri in un altro mondo: questa è la magia del cinema. E per questo bisogna tenerli in vita. Crederci. Abbiamo bisogno della loro magia.