Il matrimonio di Maria Braun. Fassbinder e le origini della germanofobia
Secco e conciso, Il matrimonio di Maria Braun è la summa poetica del controverso regista tedesco. Calibrando perfettamente la componente melodrammatica e quella “storica” Fassbinder trova un equilibrio perfetto per rendere la natura “particolare” e “universale” di questa narrazione che oggi è un classico del cinema internazionale. Maria Braun, la protagonista del film, è in questo senso un personaggio “tipico” nel senso in cui lo intendeva György Lukács, figura monumentale che rappresenta le contraddizioni e le velleità (ideali, pragmatiche) della Germania del miracolo economico. È un topos nella produzione di Fassbinder destinare alle attrici ruoli particolarmente importanti e drammatici, scelta sostenuta dalla sua nota propensione a chiamare sempre gli stessi volti (Gottfried John, Klaus Löwitsch, Ingrid Caven, Irm Hermann, Margit Carstensen, Kurt Raab, Brigitte Mira), membri fissi del suo entourge. Hanna Schygulla è uno di questi, anche se sarebbe erroneo impiegare la triste formula dell’“attrice feticcio” per definirla. Accuse di misoginia – come di ogni sorta – sono piovute addosso a Fassbinder per una certa tendenza alla spettacolarizzazione del dramma femminile nei suoi film più celebri. In un un’intervista, in maniera estremamente chiara e sintetica, esprime le profonde ragioni di tali scelte cinematografiche:
“Sono critico nei confronti delle donne quanto lo sono nei confronti degli uomini. Il punto è che credo di poter esprimere meglio ciò che voglio dire quando uso un personaggio femminile come centro. Le donne sono più interessanti, poiché da una parte sono oppresse, e dall’altra pare non lo sono veramente, perché usano questa “oppressione” da un punto di vista terroristico. Gli uomini sono così semplici: sono più banali delle donne”
Personaggi complessi, dunque, metafora, simbolo, allegoria ma anche incarnazione di tensioni personali e politiche irrisolte. Maria Braun è in questo caso veramente “rivoluzionaria” perché rappresenta la forza di una donna, e al contempo di una nazione (lei infatti esemplifica la Germania ferita al termine del secondo conflitto mondiale), capace di innalzarsi e ricostruirsi sulle rovine della guerra. Questo, con dignità e un pizzico di freddezza. Il matrimonio con l’amato Herman Braun – a cui si riferisce il titolo della pellicola – si svolge in condizioni precarie: sotto i bombardamenti alleati, cosa che, insieme alla futura indigenza, temprerà la donna. I fuochi del conflitto, inoltre, non risparmiano questa unione, caricata da parte di lei, quasi inconsciamente, di un pathos quasi spirituale. Così Braun rimane sola - Herman si è arruolato ed è forse morto in Unione Sovietica – ma lentamente e tenacemente si rimbocca le maniche. È quasi spietata nel suo tentativo di reinventarsi per sopravvivere. Come la Germania Ovest, la donna intrattiene rapporti privilegiati con gli Stati Uniti, e infatti precisamente grazie al suo lavoro di intrattenitrice in un pub conosce un soldato americano che diventa presto suo amante e che le insegna l’inglese. La conoscenza della lingua internazionale per eccellenza le aprirà le porte di un futuro in cui lei sarà finalmente capace di dimostrare le sue abilità di perfetta imprenditrice di se stessa. Una scalata sociale in piena regola? Un parallelo europeo del “sogno americano”? Non proprio.
Come si accennava precedentemente, Maria Braun incarna tutte le contraddizioni di una donna e di una nazione che nella sua alienante scalata verso il successo (economico, politico, sociale, personale) non smette di coltivare un sogno impossibile. È questo ideale fantasmatico di amore, il suo coronamento impossibile, quello che trasformerà la vicenda in una tragedia. Hermann non è morto, e il suo ritorno non farà che portare alla luce questo fantasma che oramai appare più anacronistico che mai: l’utopia di un rapporto sinceramente fusionale fra l’uomo e la donna, come quella di una Germania capace di essere una guida spirituale per l’Europa. Come conciliare queste istanze contraddittorie? Quando il pragmatismo spietato dell’ideologia del progresso e del profitto mette in moto un meccanismo che schiaccia e sbeffeggia questi stessi valori.
Maria Braun, personaggio diviso e divisivo, non ispira simpatia nello spettatore. In questo senso emerge l’intento programmatico di Fassbinder quando afferma di fare un “cinema tedesco per il popolo tedesco”, cosa che si traduceva immancabilmente in una disamina lucida e spietata delle miserie morali della Germania del miracolo economico. Guardando a posteriori questo film monumentale scopriamo in un certo senso tutti quegli elementi che siamo ancora soliti etichettare sommariamente come “tedeschi” e che ci ispirano istintivamente antipatia. Con una visione attenta scopriamo piuttosto un mondo di complessità capace di dire ancora molto sul nostro presente, sui nostri desideri e bisogni contraddittori, eppure urgenti, che richiedono una risposta che non può essere semplice. È la sempre attuale questione della crisi delle coscienze europee, infinitamente variata e rivissuta nei contesti sociali più vari. Ma questo panorama lo si scorge solo guardando ben oltre la Germania – o l’Europa – delle banche e della burocrazia, attraversando Il matrimonio di Maria Braun fino alla letteralmente esplosiva scena finale.
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