Il filo invisibile su Netflix: nodi ciechi da disfare
Un’intelaiatura assai difficile da amalgamare come quella dei diritti civili per le coppie dello stesso sesso in Italia è l’argomento della sceneggiatura de Il filo invisibile (90’ Italia, 2022), disponibile da questo mese su Netflix.
La narrativa si svolge a partire da un racconto nel racconto: ovvero c’è un doppio ruolo del co-protagonista (bravissimo nella recitazione), che è anche il narratore.
Una premessa prima di continuare la recensione: l’intramontabile certezza che oggi si possa scrivere un soggetto del genere e portarlo al grande pubblico è una conquista che non si può mai dare per scontata, soprattutto in un Paese ancora incatenato da dogmi e soffocato da bigottismi.
Dunque, bisogna ringraziare i pionieri del grande schermo che hanno avuto il cuor-aggio di alzare le loro cineprese contro pregiudizi e lo status quo per mostrare che “il mondo è bello perché vario”.
Il filo invisibile è altroché moderno. L’atmosfera dell’EUR rende Roma città del futuro, luccicante, con larghi viali, una città amica delle biciclette. In questa dimensione parallela, una coppia omosessuale che tutti credevano stabile viene stravolta da un tradimento. Chi più patisce la separazione è il loro figlio.
In questo contesto vengono trattati temi importanti, che riguardano le famiglie cosiddette arcobaleno, come l’adozione, l’omogenitorialità e le madri portatrici. Il modo di narrare spesso imbocca la strada della satira o della comicità, che di rado conduce a una riflessione più approfondita degli argomenti.
A ciò si aggiunge una dinamica che attinge a meccanismi dissonanti al soggetto stesso. Questi formano dei nodi ciechi assolutamente da disfare, perché appunto rendono il filo invisibile piuttosto tangibile. Questo è il lavoro di una vecchia filatrice, dove l’accento fico ancora è quello francese, dove, paradossalmente, l’Italia è bianca, eterosessuale e ricca pur quando si parla di eguaglianza; dove gli Stati Uniti sono ancora un modello a essere copiato, dove la domestica è una donna sudamericana stereotipata, dove sballarsi di anfetamine al liceo è ancora cool.
Eppure, In filo invisibile ha dato il suo contributo per stabilire un mondo dove il termine famiglia non avrà più una formula predeterminata e non sarà più proprietà di nessun partito, di nessun tribunale, di nessuna chiesa. Per costruire un domani dove l’amore non sarà più un contratto, un obbligo, un’ossessione. Ma tutto questo i ragazzi già lo sanno e il futuro a loro appartiene.