Tocca il corpo che guarda. Guarda che il corpo tocca

Piccola guida introduttiva alle letture percettive:

La mia proposta, con questi testi, è nel tentativo di convergere scrittura e pratiche corporee del movimento. Accanto a delle riflessioni, che possono spaziare in tematiche di diversi campi, suggerirò  dei piccoli esercizi di percezione corporea. Per una lettura incorporata, o meglio, per incorporare la lettura, è necessario avere un po’ di pazienza e prendere tempo per sperimentare – se se ne ha l’interesse –  quelle piccole indicazioni che vengono mano a mano suggerite dal testo

Foto di Jakob Jautz

Foto di Jakob Jautz

Se portiamo la nostra attenzione ai globi oculari, ed immaginiamo di lasciarli riposare ed esser sostenuti dalla struttura cranica all’interno delle orbite - talvolta abbassando un po’ lo sguardo verso il pavimento - possiamo sentire come la nostra attenzione venga richiamata subito più internamente, quasi sul retro degli occhi, dove sembra che qualcosa si sciolga e si rilassi. A cambiare è lo stato di tensione dei muscoli oculari, costantemente stimolati da una vasta quantità di immagini che scorrono, veloci, simultanee, appiattite dalla superficie dei nostri occhiali o dallo schermo dei nostri telefoni. In effetti - fatta eccezione per i non vedenti - è tanta la conoscenza che riponiamo nel senso della vista, a cui affidiamo la nostra capacità di orientamento e di memoria. Sono solitamente gli occhi a guidarci per le vie della città e a ricordarci dove abbiamo poggiato le nostre chiavi di casa.

Nel testo Gli occhi della pelle: architettura e sensi il filosofo ed architetto finlandese Juhnai Pallasmaa mette in rilievo lo squilibrio esistente tra le diverse capacità del nostro corpo e la dominanza della vista sugli altri sensi. Mettendo seduti accanto a sé filosofi come Heiddeger, Nietzsche, Merleau-Ponty, Derrida e molti altri ancora, Pallasmaa condivide che «l’occhio egemonico tende a dominare su tutti i campi di produzione culturale, e sembra impoverire la nostra capacità di empatizzare, provare compassione e partecipare con il mondo». La produzione massiva di immagini visive tende ad alienare la vista da un coinvolgimento emotivo e di identificazione, trasformando le immagini in un indistinguibile flusso senza alcun focus o partecipazione. L’occhio, con la sua tendenza ad afferrare e fissare ciò che vede, incrementa la separazione tra il sé ed il mondo, spingendoci verso un distaccamento ed un isolamento. Al contrario, il senso del tatto ad esempio, ha una capacità diretta di creare intimità, vicinanza e partecipazione, permettendoci di immergere l’immagine di noi stessi nell’esperienza diretta del mondo, le cui informazioni vengono vissute piuttosto che intellettualmente capite.

Se portiamo una mano all’altezza del volto, davanti ai nostri occhi, e la fissiamo per un po’ di tempo, possiamo vedere come la nostra percezione del campo visivo si espanda, e come si abbia la sensazione di guardare tutte le cose dello spazio in uno stesso istante. Forte è la tentazione di, per “poter guardare”, distogliere lo sguardo dalla mano, dirigendo la parte centrale del nostro occhio su qualcos altro. Ma se resistiamo un altro po’ a questa tentazione, possiamo fare esperienza della diversità che vi è tra la vista centrale – che sempre necessita un fuoco preciso di attenzione – e la vista periferica che, seppur non in grado di vedere nitidamente i dettagli, è molto più veloce a cogliere il movimento dei corpi e la presenza di luci nel buio della notte. Se infatti, tenendo ancora lo sguardo fisso sulla mano davanti a noi, ci iniziamo poi a muovere nello spazio, possiamo venir meravigliati dalla capacità della vista periferica di cogliere, in atto, l’intero ambiente circostante, e di come anche la percezione del nostro stesso corpo sembri non più tanto “di fronte” ad un ambiente esterno, bensì immersa e circondata da esso. «La vista centrale ci confronta con il mondo, mentre la visione periferica ci avvolge nella carne del mondo» scrive Pallasmaa.

 

“Percepisco in un modo totale con il mio intero essere: affero una struttura unica della cosa, una maniera unica dell’essere, che parla a tutti i miei sensi nello stesso istante”

Maurice Merleau-Ponty

Foto di Jakob Jautz

Foto di Jakob Jautz

In questo periodo di distanziamento sarà capitato ad ognuno di noi di imbattersi in un momento di imbarazzo causato dal dover tenere la distanza, dal non poter toccare o abbracciare un conoscente, un amico, un compagno o un parente. Per quanto da una parte questa pandemia ci abbia portato ancora più vicini a tecnologie, schermi e telefoni di quanto già non lo fossimo prima, dall’altra ci ha reso consapevoli  dell’esistenza di quello spazio di mezzo che esiste e connette noi agli altri e ci ha posto di fronte all’importanza e l’insostituibilità del contatto dei corpi, di quel calore che si prova nello starsi accanto.

Foto di Jakob Jautz

Foto di Jakob Jautz

 

I nostri movimenti del corpo, le nostre azioni quotidiane e la nostra attività di pensiero, coesistono con quell’intelligenza del corpo costituita dai movimenti irriflessi ed involontari, che non necessitano di un nostro pensiero per garantirci il loro funzionamento. Tali movimenti inconsapevoli sono sia i movimenti organico-fisiologici del corpo – il respirare dei polmoni, il pulsare del cuore etc.. –, sia i movimenti abitudinari, ossia tutte quelle coordinazioni che abbiamo svolto così tante volte da non aver più bisogno di pensarne la dinamica nel mentre dell’esecuzione - come andare in bicicletta, eseguire un salto difficile o più semplicemente camminare-.

Un po’ come nell’occhio, con questa sua duplice attività del fissare un dettaglio e del guardare a tutto lo spazio in atto, così nel corpo vi sono un pensiero – che afferra uno o l’altro concetto – ed un pensare, in movimento e trasformazione – capace di immergerci in uno stato di percezione tale da attivare tutti i nostri sensi.

Foto di Jakob Jautz

Foto di Jakob Jautz

Un’ultima connessione che propongo è ciò che il filosofo della scienza Peter Godfray-Smith ci dice a proposito dei cefalopodi. Nel suo libro Altre menti, il filosofo sostiene che il polpo, avendo un gran numero di neuroni nei tentacoli, potrebbe non possedere uno stesso controllo centralizzato del corpo come lo abbiamo noi,  bensì un sistema nervoso molto disunito. Una tale separazione potrebbe farci immaginare che il polpo non sia caratterizzato da un’univoca e determinata visione del mondo, o da solo “un punto di vista”,  ma che « potrebbe essere capace di vedere – in modo molto vago e imperfetto – con tutta la sua pelle». Caratterizzato da un vita che non rientra nella nostra consueta separazione tra cervello e corpo, il polpo, con il suo apparato regolato da tre cuori ed un sangue di color verde-azzurro, mi spinge e pensare ancora di più alla capacità del corpo, animale e umano, del poter “guardare con tutta la pelle”, di partecipare alla vita con tutti i sensi.

Foto di Jakob Jautz

Foto di Jakob Jautz

Se chiudiamo gli occhi, possiamo notare come – seppur con gli occhi chiusi – ancora tentiamo di guardare, ricostruendo tramite memoria l’immagine dello spazio in cui ci troviamo. Ma  se proviamo a muoverci affidandoci alla guida delle nostre mani che toccano, afferrano e percepiscono la qualità o la temperatura di una superficie, possiamo sentire quanta ricchezza sia insita nel senso del tatto, e come lo spazio, all’improvviso, venga visto dalle nostre mani nel suo volume, nel materiale, nella sua solidità o fragilità.

Possiamo immergerci nel nostro corpo e lasciarci guidare dalla sapienza delle nostre mani. Che cos’è che il corpo sa? Che cosa ha da raccontarci?

Credo che uno dei modi più diretti in cui il corpo ci sveli questa sua capacità di immergersi nella natura a cui appartiene, è nel momento in cui entra in contatto con l’altro. Nel momento in cui tocca. Quando due mani si afferrano. Quando sentiamo il peso, l’odore, la temperatura di un altro corpo. Quando ci sediamo accanto ad un cane od osserviamo il movimento di un uccello in volo, e ci immedesimiamo nel come possa essere la vita dal loro punto di vista. Quando vediamo il dolore negli occhi dell’altro e lo capiamo, tramite i nostri vissuti, come un’esperienza unica e diversa da noi.

Partecipare alla vita con tutti i sensi del corpo è, per me, un impegno politico, affinché non venga dimenticata, nel quotidiano, quella nostra capacità di empatizzare e di farci toccare da ciò che accade.