Psycho Killer, l'onirico romanzo di Amy Pollicino: "Una storia di manipolazione attraverso la seduzione fisica"
Per l’appuntamento letterario di questo mese ho avuto il piacere di leggere in anteprima il romanzo Psycho Killer, edito da Giulio Perrone Editore e in libreria dal 24 giugno, e di intervistarne l’autrice, la scrittrice e sceneggiatrice Amy Pollicino.
Tutto il romanzo è pervaso da una scia onirica, una sovrapposizione tra realtà, sogno e fantasia.
È un elemento voluto. Non usciamo mai dal punto di vista del protagonista, non c’è una narrazione obiettiva e onnisciente, perciò anche noi vediamo solo quello che vede e vive lui. Percepiamo la realtà come lui la percepisce, senza altre spiegazioni. E la realtà è un passaggio continuo da una dimensione a un’altra. In questo, trovo che la copertina realizzata da Maurizio Ceccato, che raffigura una maniglia, sia estremamente efficace.
La componente onirica e irrazionale del romanzo è data anche dalla presenza di alcuni fantasmi.
I fantasmi del mio libro ricordano quelli di Canto di Natale di Dickens. È chiaro che un elemento di inquietudine se lo portano dietro sempre, data la loro natura “altra”. Sono inattesi, a volte invadenti, ma non terrificanti. Anzi: la loro presenza è salvifica.
Il tuo protagonista, il produttore televisivo Michele Amaro, non è un personaggio molto gradevole.
Michele è un personaggio che nonostante tutto amo, provo empatia per lui, e compassione, nei suoi momenti peggiori. È un uomo di grandissime qualità e cultura, senso estetico, intuito. È attraente, potente, di successo. Ma gli manca una parte importante. È incapace di relazionarsi con le donne, la sua incapacità sfiora quasi la violenza, è un’abitudine a manipolare che passa anche attraverso una seduzione fisica. Il suo è un esercizio di potere che ha un effetto traumatico, tant’è che le donne con cui si rapporta spariscono. La sua destrezza nell’usare le persone, annullarle e farle sparire lo ha anche aiutato nella sua professione. È lui uno Psycho Killer: il killer della psiche, non del coltello o della pistola.
Durante la lettura, non ho potuto fare a meno di pensare: Amaro di nome e di fatto.
Sono un’appassionata di Pirandello e di Bellocchio. Nelle loro opere i cognomi sono spesso utilizzati per caratterizzare il personaggio. Per me è naturale dare ai personaggi un nome che abbia un’ironia, in senso pirandelliano.
Michele è un produttore, tu una sceneggiatrice: l’audiovisivo è il vostro mondo professionale. Il romanzo sembra valersi di questa derivazione e avere una sorta di montaggio cinematografico, con scene e tagli.
Il libro è molto visivo, è vero. Non posso negare di essere influenzata da una passione e da un mestiere. Sono laureata in Storia del Cinema e faccio la sceneggiatrice da molto tempo, e penso che questo si rifletta anche nella mia scrittura.
Quali sono le differenze tra il romanzo e la sceneggiatura?
Il romanzo è solitario, io scrivo pagina dopo pagina, senza sapere cosa accadrà in quella successiva. La sceneggiatura è condivisa, fatta di spazi e tempi da rispettare, e molto più strutturata: si deve sapere dal principio dove si va a parare. Il processo creativo è molto diverso, nella sceneggiatura – almeno quella televisiva, della serialità – non si va così a fondo come si può fare con il romanzo. Il romanzo è più libero, più imprevedibile per chi scrive, ma anche per chi legge. Invece nella sceneggiatura la prevedibilità è una caratteristica implicitamente richiesta, anche dal mezzo televisivo. Tuttavia, penso che questo sia un mito da sfatare: gli spettatori televisivi sono ricettivi e capaci di interpretare.
Il libro è pieno di riferimenti culturali, che immagino siano anche i tuoi. Nelle pagine finali è addirittura riportata una soundtrack, con i pezzi citati in ogni capitolo. Immagino che questi riferimenti abbiano un loro ruolo, che ci aiutino a tracciare una mappa dei gusti del protagonista.
La musica e le citazioni sono molto importanti. Scott, la presenza fantasmatica del libro, rappresenta Francis Scott Fitzgerald: è lui il primo riferimento culturale. Lo Scott del mio romanzo chiaramente non è il vero Fitzgerald, ma una sua trasposizione attraverso il vissuto di Michele. Prima di iniziare a scrivere il romanzo ho riletto tutta la produzione di questo autore, perché volevo che fosse filologico, che parlasse come avrebbe potuto parlare lui, che fosse un personaggio vivo, non soltanto un vestito.
Scott è un po’ l’alter ego di Michele, il doppio che muove in lui quello che non è capace di muovere da solo.
Michele ha tutto, si rapporta al mondo seguendo i principi dell’utilità e del potere. Scott rappresenta il desiderio che a Michele manca e che ha perso.
A chi si ispira la tua scrittura?
Tra i più amati ci sono proprio Scott Fitzgerald e Čechov, maestri di una scrittura leggera e densissima al tempo stesso, pur raccontando del dramma di vivere. Una leggerezza che è poi stile ed eleganza.
Ci lasci con un consiglio di scrittura?
Bukowski ha detto che scrivere è fare una cosa pericolosa con stile, e al momento non c’è una definizione che abbia superato questa per me. La scrittura è un processo profondo, libero, personale. Non bisogna spaventarsi di andare a fondo: il pensiero comune è che più a fondo vai, più mostri trovi, ma io non sono d’accordo. Profondamente, dentro di noi, c’è la fantasia. E per questo non dobbiamo avere paura di immergerci in noi stessi attraverso la creatività.
Psycho Killer
Giulio Perrone Editore
Pagine 288
Euro 18