"L'impresario delle Smirne" di Goldoni al Teatro Vittoria: Dove tutto è finto e niente è falso

Come scritto da lui stesso nella prefazione dell’opera, di impresari nel mondo del teatro Goldoni ebbe modo di conoscerne tanti. Ve ne sono di grandi e di piccoli, di ricchi e di poveri, di generosi e di venali, ma ciò che più di tutto li spaventa è mettere in scena un’opera in musica: “il più grande, il più fastidioso, il più pericoloso degli imbarazzi”. Ed è proprio questa l’intrapresa che il ricco negoziante delle Smirne si accinge a compiere, cercando di metter su una compagnia in quel di Venezia per portarla ad esibirsi nella splendida Smirne, con un varietà che dovrà mandare in visibilio il pubblico intero.

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La concorrenza spietata per ottenere una parte nello spettacolo, la rivalità per i ruoli migliori e le contrattazioni sul compenso metteranno a nudo le difficoltà che si celano dietro siffatto genere d’impresa, che le rappresenta tutte e non ne rappresenta nessuna, poiché per ogni progetto si incontrano impedimenti simili, ma è solo in quelle in cui la determinazione nel portare a compimento l’opera prevale sul mero tornaconto economico che si riesce a trionfare.

“Ecco la differenza che passa fra un teatro a carato, e quello d'un impresario. Sotto di un uomo che paga, tutti sono superbi, arditi, pretendenti. Quando l'impresa è dei musici, tutti sono rassegnati, e faticano volentieri”. Queste le parole pronunziate dal Conte Lasca, intermediario dell’impresario turco Alì, nel finale della commedia. Parole che raffigurano a pieno il modello del Teatro Vittoria, un luogo in cui la maggior parte degli attori lavora più per la passione verso il teatro che non per il compenso ricevuto.

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La versione di quest’opera proposta dalla compagnia attori&tecnici si lascia apprezzare non solo per la comunione d’intenti degli attori e per l’aderenza all’opera così com’è stata concepita, ma anche per le prove degli interpreti e per l’armonia che li lega. In una commedia che ha più di duecento anni, l’abilità del regista Stefano Messina risiede nell’aver creato un gruppo affiatato e nell’aver attualizzato i momenti più divertenti della rappresentazione, senza paura di dover ricorrere al citazionismo calcistico per le battute usate dagli attori.

Se la recitazione è brillante, meno scintillanti sono le prove canore – eccezion fatta per Stefano Di Lauro, che attraverso la sua voce squillante riempie di musica la sala. Qualche perplessità desta anche la scenografia, che per rappresentare gli ambienti veneziani è piuttosto scarna (si limita a qualche mobilio d’epoca e ad un cambio di scena attraverso il colore delle luci); tutto il contrario di quanto accade invece nel passaggio che porta a Smirne, dove si innesca una vorticosa giostra di attori che andranno a comporre lo scenario orientale al ritmo di un invitante musica araba.

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Ne viene fuori uno spettacolo dove si ride, si apprezza l’impegno degli attori e si ha modo di riflettere sulle passioni e gli interessi che animano ognuno di noi, che finiscono sempre per vincere sul seducente suono degli zecchini.

Chi ha preso il gusto del teatro una volta, non sa staccarsene finché vive”.


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