“Il gabbiano” di Cechov al Teatro Stanze Segrete: Per volare, bastano le ali dell'immaginazione

In scena al: Teatro Stanze Segrete, dal 9 gennaio al 4 febbraio 2018

Autore: Anton Cechov

Regia: Ennio Coltorti

È sera. La luce calda dei lampioni romani brilla sul viale acciottolato di via della Lungara, rischiarando debolmente quella parte di Trastevere coperta da un velo misterioso d’oscurità. Là, in una delle tante strade che si ramificano da quest’ultima come denti di un pettine, si apre un piccolo pertugio verso un mondo tutto da scoprire: si tratta del labirintico Teatro Delle Stanze Segrete. In questo luogo riservato è di scena un testo prezioso, dalla storia travagliata e dal successo incerto, “Il gabbiano” di Cechov.

Di volatili di questa specie ormai si è abituati a vederne molti per le strade di Roma, mentre planano ora lungo le sponde del Tevere, ora attorno all’altare della patria, sempre più numerosi e legati al territorio.

Così come il gabbiano, anche Nina è molto attaccata all’ambiente in cui è cresciuta: lusingata dalla corte di Konstantin e viziata dalla sua famiglia, coltiva la passione per il teatro interpretando i ruoli che Konstantin le ritaglia su misura. Le piacerebbe volare oltre quei confini, oltre i testi di quel corteggiatore che sono troppo spesso incompresi, ma lì è felice e libera, altrove non saprebbe muoversi allo stesso modo.

L’arrivo del noto scrittore Trigorin, compagno di Irina (madre di Konstantin), scuote però il suo animo e riaccende in lei con nuovo vigore quel desiderio mai sopito, quel sogno di travalicare i limiti della campagna per debuttare sul palcoscenico della città.
Nelle stanze della tenuta estiva dell’attempato Sorin (fratello di Irina) tra i due nasce una relazione amorosa, fonte di ispirazione per lui e di speranza per lei, che anela ad affermarsi come attrice. Nina decide pertanto di seguirlo in città, portando alla disperazione il melanconico Konstantin.

Abbandonato dall’amata, ingabbiato da una madre che disconosce il suo talento e accecato dall’invidia verso il collega Trigorin, il giovane scrittore tenterà prima il suicidio, poi invece lavorerà alacremente per dimostrare il suo valore, riuscendo ad ottenere alcune pubblicazioni per diverse riviste. I suoi testi, a differenza di quelli di Trigorin, sono impegnativi, pregni di significato, ma il dolore per l’amore perduto è ineffabile e le sue parole diventeranno sempre più opprimenti, finché non riuscirà più a reggerne il peso.

Il rapporto morboso tra madre e figlio, le difficoltà del mestiere dello scrittore, la rivalità in amore, sono questi gli aspetti che più risaltano nella messinscena dell’ensemble diretta da Ennio Coltorti. Dove Jesus Emiliano Coltorti (Konstantin) e Gianna Paola Scaffidi (Irina) riescono a rendere efficacemente l’asprezza del contrasto tra una madre scontrosa, piena di sé e un figlio lacerato dal dolore di un mancato riconoscimento materno; Marco Mete (Trigorin) mostra tutto il patema d’animo dello scrittore, in un’interpretazione con cui rende abilmente le diverse nuance di dolore che riserva il suo mestiere; e gli altri interpreti riescono ognuno a caratterizzare profondamente i loro personaggi.

L’aspetto straordinario di questo spettacolo risiede tuttavia nella capacità degli attori (ben dieci!) di muoversi con agilità in spazi angusti, riuscendo a mettere in scena un dramma che richiederebbe uno spazio scenico molto più ampio. Le osservazioni di Ennio Contorti a fine spettacolo – "ci hanno detto che dovremmo esibirci in teatri più grandi" – sono pertanto legittime, perché un lavoro di tale spessore meriterebbe di ottenere una superficie più ampia dove potersi esibire. Ma non è forse proprio questo uno dei motivi che rendono lo spettacolo così eccezionale?

D’altronde, come scritto nell’opera di Cechov, “non conta la gloria, ma la capacità di soffrire”.

Gradimento Autore: 7.7/10 (Regia: 8/10; Interpretazione: 8/10; Scenografia: 7/10)

Interpreti: Gianna Paola Scaffidi, Jesus Emiliano Coltorti, Pietro Biondi, Giulia Shou, Gabriele Martini, Patrizia Bernardini, Virna Zorzan, Marco Mete, Ennio Coltorti e Matteo Fasanella.

I costumi: sono di Rita Forzano

L’idea scenica: di Andrea Bianchi

Le luci di: Iuraj Saleri