L'Amletico

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Panettone: la curiosa nascita di una prelibatezza

Il Natale è alle porte. Nonostante le dovute limitazioni ai festeggiamenti, difficilmente rinunceremo ad una cosa: il buon cibo. Le tradizioni gastronomiche cambiano ad ogni latitudine, ed anche in Italia si diversificano notevolmente. C’è un dolce però che unisce tutte le tavolate, il dolce natalizio per eccellenza: il Panettone!

Ma come e quando nasce questa prelibatezza? Quali storie si celano dietro a questo gustoso dolce? Molte sono le leggende unite alle vicende storiche che ruotano intorno all’origine di questo dolce, tra carte d’archivio e racconti popolari.

Il mito, che si costruisce su una questione etimologica, fa risalire il panettone a un umile servo di nome Toni. Un tale che nel XV secolo riuscì a conquistare il palato del potente Ludovico il Moro, inventandosi un dolce fatto con un panetto di lievito madre, farina, uova, zucchero e uvetta, mettendoci più volte mano, fino ad arrivare a creare un dolce irresistibile: il Pan de Toni, dal quale deriverebbe il nome moderno panettone.

Un’altra leggenda si lega invece a Ughetto degli Atellani, uomo vicino al granduca Ludovico il Moro, di cui era il falconiere, che in segreto (per ragioni sociali) andava a trovare Algisa, la figlia di un fornaio di cui si era follemente innamorato.

Dal momento che gli affari della panetteria andavano proprio male, Ughetto, per darle una mano, si fece assumere come garzone e andò a vendere i falconi del Granduca per comprare burro, miele e uva sultanina con cui, a Natale, preparò un pane mai visto prima per rivitalizzare gli incassi. Il successo fu grande, il Granduca assaggiò il Panettone e gli perdonò persino il furto dei falconi.

Pietro Verri, nella sua Storia di Milano (1783), narra di un’usanza antica che nel IX secolo caratterizzava le feste cristiane legate al territorio milanese: “Il giorno del Santo Natale i padri di famiglia distribuivano, sin d’allora, i denari; acciò tutti potessero divertirsi giuocando. Si usavano in quei giorni dei pani grandi; e si ponevano sulla mensa anitre e carni di maiale; come anche oggidì il popolo costuma di fare”.

Le origini di questo dolce si collocano in ogni caso al tramonto del Medioevo: in uno scritto quattrocentesco di un precettore di casa Sforza si testimonia per esempio il rito del ciocco, che prevedeva anche la distribuzione dell’antenato (primordiale) del panettone. La sera della Vigilia di Natale era consuetudine aizzare il fuoco del camino con un grosso ciocco di legno per scaldare gli ambienti mentre il capofamiglia distribuiva a tutti i suoi cari dei pezzi di pane di frumento, conservandone sempre almeno una fetta, per l’anno nuovo. Il pane ‘ricco’ di Natale era un’usanza molto diffusa all’epoca.

Documenti storici testimoniano che fino al 1395 i forni milanesi avevano il permesso di cuocere il pane di frumento, considerato davvero prezioso ai tempi, solo per il giorno di Natale.

La prima testimonianza storica della presenza di questo dolce si ha nel febbraio 1426, quando il Ducato di Milano si trova impegnato in una lunga lotta con la Serenissima, per il predominio degli avamposti lungo l’Adda. In quel tempo, Giovanni Aliprandi, genero di Bernabò Visconti, una volta caduto in mani nemiche, viene decapitato dai veneziani con l’accusa di aver tentato di avvelenare il Carmagnola, mercenario, milanese d’adozione e comandante in quel frangente dell’esercito veneziano. Le fonti raccontano che ciò doveva avvenire tramite il pane ripieno di uvetta secca, di cui il conte di Carmagnola era ghiotto.

La più antica, e certa, attestazione di un “Pane di Natale” prodotto con burro, uvetta e spezie si trova in un registro delle spese dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia del 1599, quando tali "Pani" furono serviti durante il pranzo natalizio agli studenti convittori.

Se vogliamo cercare il panettone ‘moderno’ dobbiamo guardare al 1606, quando viene dato alle stampe in Milano da Giovanni Giacomo Como la prima edizione del famoso Varon Milanes de la lengua de Milan e Prissian de Milan de la parnonzia milanesa. Il primo archetipo di vocabolario della lingua e della pronuncia milanese. Tra le voci proposte vi figura anche quella del panaton de danedà, con una succinta spiegazione: «pangrosso qual si suole fare il giorno di Natale, per metafora un inetto infingardo, da poco».

Il Cherubini nel XIX secolo con il suo famoso Vocabolario milanese-italiano, testimonia l’uso del “Panattón” come “una specie di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina o sultana.

Si trattava, in ogni caso, di un pane non lievitato, e dunque bassino. Il lievito, per quanto ne sappiamo, fu introdotto solo più tardi grazie a Pasteur, nel 1857, mentre l’anno successivo si ha notizia di un panettone con l’uso di cedri canditi.

Negli anni Venti del Novecento, Angelo Motta, il fondatore dell’omonima ditta dolciaria, ispirandosi al dolce pasquale ortodosso kulic (fatto con il lievito di birra anziché pasta madre e aromi più diffusi nelle cucine "orientali" come il cardamomo), arricchì il panettone con una base fasciante di carta paglia, così da alzare ulteriormente il dolce.

Non è comunque un caso se molti panificatori e pasticceri dell’area milanese continuano ancora proporre un panettone più basso, testimonianza della ricetta più antica. E sempre a Milano è tradizione conservare una porzione del panettone consumato durante il pranzo di Natale, per poi mangiarlo raffermo a digiuno insieme in famiglia il 3 febbraio, festa di San Biagio, come gesto propiziatorio contro i mali della gola e raffreddori, secondo il detto milanese “San Bias el benediss la gola e el nas” (San Biagio benedice la gola e il naso). In questo giorno i negozianti, per smaltire l’invenduto, vendono i cosiddetti panettoni di san Biagio, gli ultimi rimasti dal periodo festivo.