L'Amletico

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Pronto, ci sono novità?

Un tempo per usare il telefono ci si doveva impegnare almeno un po', a volte anche con i polmoni, visto che c'era chi pensava di dover coprire la distanza alzando il tono della voce. Senza parlare delle vecchie telefonate interurbane, quando ci si affidava a una signorina in grembiule blu che dopo non meno di mezz'ora ti faceva entrare in contatto con gente. Se poi si aveva avuto in sorte di vivere in un piccolo paese, si veniva con affanno chiamati a raggiungere di corsa l'ufficio postale dove era in costosa attesa una telefonata che, provenendo da "fuori", aveva sicuramente da annunciare qualcosa di estraneo alla vita di tutti i giorni, forse una disgrazia.

Oggi può anche accadere che qualcuno, scansando i passanti che attraversano di corsa la Plaza de Mayo, chiami al telefono un amico all'altro capo del mondo sta a Piazza di Spagna mentre sta cercando anch'egli di farsi strada fra la folla, per parlargli del più e del meno informandolo di varie cose, fra cui la più importante è che laggiù "fa un caldo incredibile". Una notizia non clamorosa, in quanto da secoli è ormai noto a tutti che le stagioni sono diverse negli opposti emisferi e, comunque, chi si trova a Roma vede cambiare molto poco la propria vita se viene a sapere che tempo fa a Buenos Aires.

C'è anche chi - all'opposto di quanto avviene tra Roma e Buenos Aires - telefona a casa mentre sta per tornarvi, anticipando di una manciata di minuti ciò che di lì a poco potrebbe dire meglio a voce. E a volte gli capita anche di entrare, trovarsi di fronte il destinatario della chiamata e continuare a parlargli per telefono ma guardandolo negli occhi, realizzando qualcosa che i maghi della telefonia mobile hanno trovato fatica a inventare. O chi usa il telefono non come un mezzo per fare una cosa che ha uno scopo specifico - qualcosa che inizia e si conclude - ma come un normale e continuativo complemento degli atti del quotidiano vivere: come lavorare, camminare, viaggiare e tutto il resto, al pari di quanto lo sono respirare, pensare, muoversi, gioire, soffrire. Suggerendo così l'ipotesi che il non infrequente dotarsi di più telefoni sia il riflesso di un inconsapevole bisogno di rafforzare il più possibile la propria capacità di stare al mondo.

Quello che con tutte queste telefonate prende forma è un reticolo di annunci e di dichiarazioni spesso senza senso che, insieme alle onde magnetiche e ai venti, copre costantemente l'intero pianeta avviluppandolo nel vociare di una rumorosa specie che casualmente e provvisoriamente lo abita. Si tratta in genere di dichiarazioni che preludono ad altre, in una catena di "poi ti dico", di "ti spiego meglio dopo", in un continuo rinvio a una successiva telefonata che rimbalza verso un'altra, in direzione di qualcosa che dovrebbe dare un senso conclusivo alle telefonate precedenti, mentre tutto rimane invece sospeso in una beckettiana attesa di qualcosa che non arriverà mai.

Ma non è sempre così. Non è la regola che ormai ci si telefoni soltanto per dirsi "che stai facendo?" o "hai visto che è successo a Parigi? Pazzesco!" o " hai visto la Juve ieri sera? Uno schianto!". Sul tram, sotto lo sguardo incuriosito della madre di famiglia che rientra distrutta dal lavoro e quello indifferente dell'immigrato che torna in periferia con il sacco della roba invenduta, l'uomo al telefono sta concludendo un affare importante. Clausole complicate, fantasiose modalità di pagamento, qualche irregolarità fiscale ventilata abbassando la voce, come se, al posto della madre di famiglia e dell'immigrato, ad assistere alla discussione ci fosse un incaricato dell'Agenzia delle Entrate. La trattativa ha già avuto inizio quando l'uomo al telefono entra urlando nel tram, alla fermata successiva è ancora in una fase di stallo e soltanto dopo un altro paio di fermate si arriva a qualcosa di concreto, al prezzo di vendita dell'appartamento, ad esempio. A volte lui indica sottovoce - probabilmente perché anche lui se ne vergogna - una cifra che spinge la casalinga e l'immigrato a guardarsi stupiti negli occhi con l'aria di chi dice "ma che sarà mai? Il Colosseo?". Dall'espressione dell'uomo al telefono sembrerebbe che dall'altra parte la reazione non sia stata molto diversa da quella della casalinga e dell'immigrato. Poi, alla quinta fermata, tutto si interrompe. Lui scende e della vendita del Colosseo si perde ogni traccia.

Se i mezzi di trasporto urbano sono soprattutto luogo di elezione per conversazioni che investono il vivere quotidiano, i treni, con i loro tempi lunghi e la capacità di accogliere morbidamente pensieri e stati d'animo, ispirano meglio riflessioni su aspetti della vita che avrebbero difficoltà a trovare spazio tra una fermata e l'altra di un tram. E' così che tra Firenze e Bologna prende forma la crisi coniugale della signora seduta di fronte, mentre nella fila accanto si dipanano le ambizioni del dirigente di banca alle prese con i problemi di ristrutturazione della propria azienda. Un brulichio di vicende umane che varia di intensità al variare della profondità delle gallerie del tratto appenninico, con la signora in crisi e il bancario in difficoltà che prendono fiato quando i loro telefoni, insieme alle loro ansie, sono provvidenzialmente ridotti al silenzio dalla montagna che li sovrasta.

Ma c'è ancora una sparuta minoranza di persone che non hanno il cellulare, neanche nella primordiale versione che concede solo pochi dei molti svaghi che oggi coprono gli spazi vuoti che intercorrono tra una telefonata e l'altra. Questi asceti dell'etere non sono sempre veramente diversi da coloro che nell'etere ci svolazzano come anime in pena alla ricerca di qualcuno cui si abbia ancora qualcosa da dire. Sono soltanto dei provocatori. Hanno anche loro uno spasmodico bisogno di un cellulare. Hanno però un bisogno più urgente da soddisfare. Quello di poter dire "il cellulare? Non ce l'ho, non mi serve".

Non c'è una conclusione da trarre da tutto ciò. Si può soltanto dire, con Céline, che "saremo tranquilli solo quando tutto sarà stato detto, una volta per tutte, allora finalmente faremo silenzio e non avremo più paura di stare zitti. Ci saremo".