L'Amletico

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Oltre Trevignano: Madonne miracolose e altri effetti indesiderati

La sedicente veggente Gisella Cardia ha colpito ancora.

Qualche giorno fa la statuina della Madonna di Trevignano è stata condotta da “Le Iene” a fare una TAC, per spiegare il “miracoloso” fenomeno del pianto. Una scena straziante quella catturata dalle telecamere del programma, con la donna che si commuove come se davanti ai suoi occhi si stesse perpetrando un sacrilegio, dimenticando – ahimè! – che si tratta di un escamotage che torna tutto a vantaggio del proprio business. Erano mesi, in effetti, che la vicenda sembrava essere stata archiviata, quando all’improvviso alcune trovate l’hanno riportata magicamente in auge. Recentemente, infatti, avevamo visto il “volo” della Madonna in cielo, dove la regina celeste aveva “letteralmente” solcato il regno di Dio grazie all’ausilio di un ben poco aulico drone. L’evento, sapientemente orchestrato tramite una campagna social, aveva fatto rimbalzare la notizia sul web sulle principali testate. Trevignano per un attimo diventava una nuova e piccola Medjugorje, luogo dove – d’altra parte – la Madonna miracolosa in questione sarebbe stata prodotta.

Ma gli abitanti del paese, giustamente adirati, possono stare tranquilli: nessun grande pellegrinaggio avrà luogo sulle sponde del Lago di Bracciano. Il caso inizia già adesso a sgonfiarsi. Eppure, anche se non ci sono le premesse per questo agognato “salto di qualità”, gli elementi per sacralizzare il piccolo (e abusivo) santuario sono stati tutti dispiegati da Gisella Cardia, finendo perfino per confondere Paolo Brosio, che si domanda nei vari talk show di punta se questa non sia una mega truffa o un evento unico e irripetibile. Insomma, dalla moltiplicazione di gnocchi e pizzette ne è stata fatta di strada. Ma al di là dal singolo episodio, questa storia non ci appare nuova. Quante ne abbiamo viste e sentite di simili? Quante statuine di gesso, più o meno a buon mercato, hanno improvvisamente varcato la soglia del mondo profano? E perché se ne parla tanto, ancora.

 

Una (sacra) valle di lacrime

 

Il motivo delle “statue piangenti” – prima di diventare un caso mediatico – ricorre nella cultura occidentale, attraverso episodi che punteggiano sia la storia artistica che quella popolare. I due fenomeni, anche se si sono spesso intrecciati, oggi sembrano più separati che mai, in un’era dove l’arte ha lasciato il discorso pubblico (se non per sporadiche apparizioni), e la società dell’intrattenimento ha inglobato tutti i fenomeni sociali all’interno delle sue logiche. Delle origini lontane, perfino remote, di tradizioni e rituali che vedono oggetti improvvisamente “animati”, oggi quasi tutto si è perso. O meglio, all’interno del dibattuto pubblico, nella rappresentazione mediale offerta a questa dimensione del patrimonio immateriale. Non mancano, certamente, elementi folcloristici – soprattutto nel sud della penisola – in cui l’elemento artistico e cristiano svolge un ruolo centrale all’interno di una tradizione consolidata, ma non è questo che fa notizia, e se la fa il rischio della mercificazione turistica è appena dietro l’angolo. Tutto ciò che non è stato trasformato in spettacolo, infatti, viene destinato ai margini della rappresentazione, appannaggio di comunità sempre più piccole che con fatica portano avanti queste complesse eredità, lottando contro l’oblio. Non a caso, i fenomeni “miracolosi”, prima della cronaca poi del web, appaiono sempre all’improvviso, dove meno ce lo si aspetta. I nuovi episodi di pseudo revival religioso si inseriscono nel filone, per certi versi animistico, di una ricca e stratificata cultura, ma ne dimenticano, volontariamente, la lunga storia, lo sfondo. Perché, effettivamente, si tratta di un’altra storia. Nessuna parentela fra la Madonna di Trevignano, infatti, e le statue parlanti e agenti di monasteri e mistici, di cerimoniali antichi e figure mitiche dell’antichità: qui la logica è solo quella del sensazionalismo. Basterebbe citare qualche caso per dimostrare come tutte queste narrazioni si assomigliano.

Nel 2011, a Licata, in Sicilia, un quadro con la Madonna si era messo improvvisamente a piangere sangue. Indagini, come quelle de Le Iene, hanno dimostrato che il DNA corrispondeva a quello di una persona. La procura di Agrigento, all’epoca, aveva addirittura aperto un’inchiesta l’ipotesi di reato di abuso della “credulità popolare”. Ma non sono solo le Madonne a piangere. Anche una statua di Gesù Cristo sembra lacrimare nel parco di Stupinigi, appena fuori Torino.

Un altro caso eclatante, e altamente mediatico, è stato quello della Madonna di Civitavecchia, proprietà della famiglia Gregori. La vicenda cominciò il 2 febbraio del 1995, e raggiunse una tale audience che, secondo fonti giornalistiche, persino Giovanni Paolo II sembrava tentato di venerare la statua, volendogli donare una sorta di riconoscimento istituzionale – negato dalla Chiesa di Roma. Nel 2018 lo scrittore Niccolò Ammaniti ha realizzato, a partire dalla vicenda, lo sceneggiato Il Miracolo, andato in onda su Sky, creando un forte scontento da parte della famiglia Gregori, che ha inteso l’operazione come diffamatoria, ritenendo che contestasse la veridicità del miracolo. Ad ogni modo, che una fiction intercetti una storia del genere non ci stupisce affatto. Parliamo sempre di storie, di trucchi e artifici che sfruttano delle tradizioni radicate sui territori italiani e non solo, ma restano ancorate alla finzione narrativa furbesca e populista più recente. Come sempre, esistono paralleli fra questi fenomeni e un insieme di narrazioni che hanno riscosso più o meno successo nell’immaginario collettivo. Nel romanzo di Ken Follet I pilastri della terra (1989) una pietra che assorbe e espelle l’umidità dell’aria (cosicché sembra che pianga) finisce per svolgere un ruolo centrale all’interno della trama del libro, che ruota interno alla costruzione di una cattedrale che aveva solo bisogno di una statua della Madonna miracolosa, realizzata con questo bizzarro materiale, per ottenere i consensi, e i fondi, per essere ultimata.

 

 

Le statue piangono, i quadri no

 

Avete mai visto un quadro con una Madonna che piange? Difficile. Di esempi noti ne esistono pochi. La Mater Dolorosa (1410–1475) di Dieric Bouts, allievo di Rogier van der Weyden insieme a Hans Memling, conservata al Chicago Art Institute, racconta di un certo modo di vivere la religiosità nell’area fiamminga, che portava il fedele a una forma di immedesimazione con la madre di Dio, attraverso l’emotività. Ma la figura di Maria in Italia, piuttosto, rappresentava per i fedeli un modello di comportamento femminile virtuoso, qualcosa che ha più a che fare con la testa, col controllo che col cuore. I suoi valori erano la modestia, l’umiltà, la pietà. Il pianto implica un’emotività esagerata, e per questo nelle scene delle Deposizioni (al di là dello svenimento, che implica sempre una sorta di passività) sono le tre Marie o la Maddalena a piangere per anche convulsamente. Nella religiosità popolare, memore di antichi rimandi e commistioni cultuali, Ernesto de Martino ha indagato come si traduceva questa forma di pianto “per procura” nell’introduzione della figura delle prefiche, all’interno dei riti funebri di alcuni territori della Lucania, in cui le donne in questione erano votate a intercettare e esprimere tutta la commozione, ma soprattutto la disperazione, dei famigliari del defunto.

E nel folclore cristiano del giornalismo del web, quadri piangenti ce ne sono? Certo, e occorre subito segnalare un’eccezione. Nel 2011 la chiesa ortodossa di San Nicola a Milano ha visto piangere la sua icona della Madonna. Fin qui niente di “strano”, ma c’è un fattore da prendere in considerazione. In questo caso la (presunta) dimensione acheropita di molta arte religiosa di marca bizantina sostiene la natura divina dell’opera, scalzando il ruolo dell’artefice umano nella sua realizzazione materiale. Al di là delle dispute teologiche, e senza entrare nel merito di un discorso sulla fede, sostengo che quello che si cerca di fare oggi con tutti questi “casi” miracolosi sia precisamente di voler far sparire le persone, il contesto – e soprattutto – l’assurdità, per far passare qualsiasi follia per vera, cercando una condizione di credenza cieca. Per questo si usa la retorica delle lacrime. Cosa c’è di più commovente in modo addirittura sguaiato e ostentato di una Madonnina di gesso piangente? Quello che si cerca è un patetismo a buon mercato, dall’efficacia garantita. L’hype che si crea attorno a tali fenomeni crea “bolle” dove ogni razionalità è sospesa. Complici le testate giornalistiche, che si interfacciano con serietà a questi fenomeni, esaltano la sfacciataggine dei veggenti, mistici, santoni di turno che a loro volta presentano le loro esperienze come un fatto inequivocabile. Loro non ne sarebbero responsabili, come tutto quello che sta dietro, attorno e in mezzo a queste trovate. Che sogno dunque, arrivare a una forma di indottrinamento dello spettatore, del lettore senza passare per la mano di nessuno, un condizionamento che si da nell’etere del mondo digitale del web, dove lo scoop sensazionalista cattura l’attenzione anche dei fanatici del trash, che alimentano la viralità della notizia.

 

Madonna social. Un nuovo folclore religioso?

 

Il mondo mediatico che abbiamo descritto è un mondo di superficie, dove tutto resta al di qua dello schermo dello smartphone. È esattamente il contrario di quel mondo “interno” scavato dalla profondità di rituali e di esperienze che passano attraverso emozioni vere, radicate nella storia e nella vita delle persone. Marguerite Yourcenar nelle sue Novelle Oriental (1938) scrive un breve racconto, “Nostra signora delle rondini”, che mostra una Madonna molto diversa. La storia narra di Terapione, un monaco che dopo aver compiuto miracoli in Egitto (come aver resuscitato ed evangelizzato delle mummie) va in Grecia con l'obiettivo di esorcizzare quella terra ancora soggetta ai “sortilegi di Pan". Ma il monaco si rivela ben presto aperto verso i misteri pagani della Madonna protettrice delle rondini, sorta di ninfa capace di trasformarsi in una miriade di questi uccelli, nel cuore di un tempio che è anche una chiesa ma soprattutto una grotta. Questo racconto rivendica il legame di continuità fra l’eredità pagana e il culto cristiano, ma anche fra il cielo e la terra, la luce e l’oscurità. La rondine è una creatura sospesa fra due regni come Madonna, che solca le alture celesti e al contempo occupa le tane dei conigli (che tollerano bene la loro presenza), come a voler entrare nelle viscere della terra, nel regno dei morti.

L’arte religiosa, nella storia, ha spesso cercato di tenere stretto questo legame fra estasi e abisso, ricordandoci con la bellezza di quadri, affreschi e sculture l’aspetto più umano del sentimento. A cosa mi riferisco? Allo stupore, al senso di smarrimento che proviamo davanti ciò che oltrepassa il nostro sentire, che sia una persona, un oggetto, un panorama, o molto più comunemente un qualcosa di imprecisato ma non per questo di confuso. Qualcosa di unico, anche solo e semplicemente perché in quel momento ci appare come tale, una rivelazione. Oggi la fede mercificata trova una eco mediatica nell’epifania delle dirette di Instagram e TikTok di altri eventi social che spersonalizzano e imbruttiscono sempre di più l’immaginario religioso. Storie tutte uguali, continuamente variate e riproposte con martellante e inesausta insistenza. Lo squallore dei souvenir di stampo cattolico, con le emblematiche Madonnine di gesso in pole position, mostrano un gusto che non è più popolare, ma degradato. La celebre scena di Matteo Salvini nel suo studio, con la parete di sfondo tempestata di Madonne, crocefissi, angeli e rosari racconta la deriva più pericolosa di questo immaginario. Propaganda politica o impresa commerciale, poco importa. Tutto ciò che resta in superficie, poiché richiede un effetto immediato, che sia un voto al proprio partito oppure un versamento alla onlus di turno, rimbambisce non soltanto la ragione, ma anche la fede.