L'Amletico

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Dalla Roma antica a Napoli, la vera storia della pizza

Le origini di questo piatto che rappresenta un monumento della cucina napoletana nel mondo sono davvero antichissime e non iniziano esattamente a Napoli.

Alle origini

Siamo nell’antica Roma dove i contadini, dopo aver imparato ad incrociare i diversi tipi di farro conosciuti dando vita alla farina (il suo nome deriva da “far”, che in latino vuol dire proprio farro), impastano la farina di chicchi di frumento macinati con acqua, erbe aromatiche e sale per dare vita ad una sorta di focaccia rotonda che fanno cuocere sul focolare, al calore della cenere. Nasce così solo un’idea di quella che sarà la pizza che conosciamo oggi: mancano tantissimi ingredienti, molti dei quali arriveranno solo dopo la scoperta dell’America.

fonte pixabay

La comparsa della parola “pizza”

Le prime fonti scritte che fanno riferimento alla parola “pizza” sono dei documenti ufficiali. Il più antico riferimento risalirebbe al latino volgare della città portuale di Gaeta (nel Lazio meridionale) nel 997, come compenso per un contratto di affitto di un mulino situato nel territorio dell’attuale Comune di Castelforte. La parola “pizza” ritorna poi in un altro contratto datato 1195 e redatto a Penne, in Abruzzo, poi ancora in un contratto di locazione con data sul retro 31 gennaio 1201 a Sulmona ed in seguito in quello di altre città italiane come Roma e L'Aquila. Ricorre ancora nei documenti della Curia Romana del 1300, dove si parla di “pizis” e “pissas” riferendosi ad alcuni tipici prodotti da forno, di quel periodo, nel centro-sud della penisola, specie in Abruzzo e Molise.

Nel XVI secolo a Napoli a un pane schiacciato venne dato il nome di pizza che deriva dalla storpiatura della parola “pitta”. Nel 1535, finalmente, nella sua Descrizione dei luoghi antichi di Napoli, il poeta e saggista Benedetto Di Falco dice che la “focaccia, in Napoletano è detta pizza”. Così diventa ufficiale: anche in Campania la pizza ha subito un lungo processo di trasformazione.

Nel corso del XVI secolo l’olio d’oliva inizia gradualmente a prendere il posto dello strutto, viene aggiunto il formaggio e si usano le erbe aromatiche. E così fa la sua apparizione una ricetta connotata dall’uso del verde e profumatissimo basilico, la pizza “alla Mastunicola” (in dialetto, del maestro Nicola). 

Nel 1600 possiamo dire di trovarci nel pieno della storia moderna della pizza. Pasta per pane cotta in forni a legna, condita con aglio, strutto e sale grosso, oppure, nella versione più “ricca”, con caciocavallo e basilico. Con la scoperta dell’America, poi, arriva il pomodoro anche in Italia e tutto cambia gusto. Il pomodoro fu dapprima usato in cucina come salsa cotta con un po’ di sale e basilico, mentre più tardi qualcuno ebbe l’intuizione di utilizzarlo a crudo - o magari si dimenticò semplicemente di cuocere la salsa prima, chissà? - inventando, così senza volerlo, la pizza come la conosciamo oggi. Pur senza la mozzarella, che invece arricchisce di gusto questa storia solo nell’Ottocento. Lo stesso secolo in cui, ormai, la pizza è diffusissima nel popolino, ma non solo. La mangiano con gran piacere anche i nobili: baroni, principi e regnanti, tanto che finisce sulle tavolate durante i ricevimenti dei Borboni, mentre Ferdinando IV la fa cuocere nei forni di Capodimonte.

La pizza unisce il popolo

Un aspetto non marginale della storia della pizza è proprio questo: la sua funzione di collante tra popolo alto e basso, una cultura gastronomica che per la prima volta livella le distinzioni sociali. Una grandissima novità se consideriamo che da sempre il cibo era stato uno degli elementi distintivi dei potenti con i loro sontuosi banchetti rispetto alla miseria delle tavole degli ultimi. (Sul tema vi consiglio La Fame e l’Abbondanza di Massimo Montanari, ed. Laterza)

Ma torniamo ad addentare questo racconto: la prima ricetta della pizza come la conosciamo oggi è riportata in un trattato dato alle stampe a Napoli nel 1858, che descrive il modo in cui in quegli anni si prepara la “vera pizza napoletana”. Quando la città era ancora la capitale del Regno delle Due Sicilie, Francesco De Bourcard in Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti arriva perfino a citare una sorta di pizza Margherita ante litteram, con mozzarella e basilico. Il pomodoro, poi, è qualcosa di ancora facoltativo, mentre per i condimenti, si legge, si può usare “quel che vi viene in testa”.

(fonte: wikipedia)

Eppure verso la fine dell’Ottocento la pizza con pomodoro e mozzarella arriva addirittura in America grazie agli italiani che emigrano a New York dove a Little Italy viene fatta esattamente come a Napoli.

La genesi della pizza Margherita

Dopo che i pizzaioli napoletani avevano dato i natali a svariate qualità di pizza tra la popolazione, si arriva alla sua approvazione ufficiale nel 1889, in occasione della visita a Napoli del re d’Italia Umberto I e della regina consorte Margherita. E questo è davvero un momento topico: durante la passeggiata nella città campana, i regnanti furono accolti da Raffaele Esposito, il miglior pizzaiolo dell’epoca, proprietario della storica pizzeria Brandi (nata nel 1780), che realizzò per loro tre pizze classiche: la pizza alla Mastunicola (fatta con strutto, formaggio, basilico), la pizza alla Marinara (pomodoro, aglio, olio, origano) e la pizza pomodoro e mozzarella (pomodoro, olio, mozzarella, origano), realizzata in onore della regina Margherita ed i cui colori richiamavano volutamente il tricolore italiano. La sovrana apprezzò così tanto quest’ultima da ringraziare ed elogiare il pizzaiolo che l’aveva realizzata per iscritto. Nasceva così la Pizza Margherita.

(fonte: pixabay)

Nel Novecento la pizza è entrata a pieno titolo nella vita delle persone e col tempo se ne sono aggiunte varianti di qualsiasi genere, per tutti i gusti. Il suo passaggio dirompente nelle tavole di tutto lo stivale si ha a seguito Seconda Guerra Mondiale. La pizza esce dai confini del Sud Italia per sbarcare al Nord dove col boom industriale nel triangolo Milano, Torino e Genova migliaia di emigranti si spostano con le loro famiglie con i loro modi, usi e costumi (e con i loro piatti tipici). Anche al Nord la sua popolarità è indiscussa. Negli anni Sessanta, poi, le pizzerie arrivano praticamente in tutto il Paese. E nel giro di qualche anno, in tutto il mondo. 

La pizza diventa Patrimonio dell’umanità

Nel 2017 “L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” è stata riconosciuta come parte del patrimonio culturale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana, secondo i criteri previsti dalla Convenzione Unesco del 2003.

Questa arte rappresenta l’ottavo riconoscimento italiano nella lista del Patrimonio Immateriale dell’UNESCO ed è la terza iscrizione nazionale nell’ambito della tradizione enogastronomica, (dopo la “Dieta Mediterranea”, bene transnazionale iscritto nel 2013, e “La vite ad alberello di Pantelleria” iscritta nel 2014).

Dalla Cina al Medio Oriente, dall’Europa dell’est all’America del sud. Tutti non sanno più farne a meno.

E per fortuna!