L'Amletico

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La biblioteca di Federico Zeri, la più grande raccolta esistente mai creata da un singolo studioso

“Mentana, 18 gennaio 1977. Illeggibile. Ignobile cialtronata tipicamente francese, dottrinarismo, livello intellettuale molto basso”. Non ce ne vogliano i cugini transalpini, è il proverbiale spirito caustico con cui Federico Zeri annotò la sua copia de Lo spazio figurativo dal Rinascimento al Cubismo di Pierre Francastel. Oltretutto proprio la Francia gli riserverà da lì a una ventina d’anni l’onore di accoglierlo all’Académie des Beaux-Arts, tra i pochissimi eletti stranieri, ereditando il posto che fu di Richard Nixon.

Il povero Francastel non è l’unico malcapitato, sono tanti i bersagli degli strali dello Zeri lettore severo e appassionato, sinceramente sofferente quando il livello scientifico di un saggio è scarso e la lingua è maltrattata. Come nel caso di Cesare Brandi e del suo Disegno della pittura italiana, a cui Zeri aggiunge in coda un folto indice di “perle” (il termine è suo) dove riporta le velleità artistiche della prosa e le inesattezze del contenuto.

Due esempi non per dipingere il grande studioso a cent’anni dalla nascita come un censore acido e accigliato, ma per dare un’idea di quanto gli stesse a cuore lo scrivere bene e in maniera comprensibile, una conquista della cui difficoltà era ben consapevole. Zeri osteggiò sempre i mediocri imitatori dell’inarrivabile Roberto Longhi, altro gigante novecentesco della storia dell’arte e suo maestro, i cui scritti sono finiti a buon diritto nelle antologie letterarie ma risultarono intraducibili in altre lingue.

Prima di abbracciare la storia dell’arte, in gioventù Zeri compì studi di chimica e botanica che gli diedero l’impronta più dello scienziato che dell’umanista, e il dono della chiarezza dell’esposizione ne fu una felice conseguenza. Formidabile comunicatore nello scrivere e nelle tante apparizioni televisive, ebbe dalla sua curiosità senza confini un grande vantaggio su tanti colleghi, aprendogli la porta della conoscenza su infiniti campi del sapere. È questa, in buona sostanza, la ragione principale degli oltre 100.000 libri accumulati nel corso di una vita nella villa di Mentana, costruita appositamente negli anni ’60 per ospitare i volumi e la fototeca per i quali la casa di Roma non bastava più.

Alla sua morte, nel 1998, saranno 83.000 i libri di storia dell’arte, compresi quasi 40.000 cataloghi d’asta (la più grande raccolta esistente mai creata da un singolo studioso), oltre a circa 20.000 volumi dei più svariati argomenti: saggistica storica, scientifica e letteraria, giardinaggio e botanica, romanzi rosa, fumetti, cartellonistica pubblicitaria, ricettari, letteratura satirica, repertori su vernacoli e culture popolari, libri gialli di cui era un grande appassionato e che tanto spesso sono consonanti all’indagine sull’opera d’arte. Lui stesso si cimentò in una detective story ambientata nel suo mondo di storici dell’arte, antiquari e collezionisti (Mai con i quadri, scritto a quattro mani con Carmen Iarrera, 1997).

Nella sua avvincente autobiografia, Confesso che ho sbagliato (1995), Zeri racconta di come è nata e cresciuta la sua biblioteca: “mi sono sempre procurato i libri che mi erano necessari, cedendo spesso a una sorta di impulso frenetico. Ho quindi accumulato decine di migliaia di libri e so benissimo che il giorno che morrò ce ne saranno almeno diecimila, non di argomento storico-artistico, in attesa di venir letti”. A chi ha avuto la fortuna di frequentarlo o di visitare la villa nei primi anni dopo la sua morte si presentava l’immagine tangibile della sua indole di accumulatore: “purtroppo non avevo previsto che i libri avrebbero lentamente invaso tutti i piani della casa, infilandosi anche negli ambienti del sottosuolo, avanzando nei corridoi e nella stessa mia camera da letto, accumulandosi nei luoghi meno adatti e rendendo difficili le mie ricerche”.

Un disordine però solo parziale e apparente. Come per l’eccezionale fototeca, Zeri organizzò la sua raccolta di libri con raziocinio da classificatore, creando oltre una ventina di sezioni tematiche necessarie al suo lavoro quotidiano di conoscitore: pittura italiana e straniera (9.000 libri in totale), scultura, cataloghi di musei e collezioni, arte del Novecento, archeologia, disegno e grafica, iconografia, topografia, arti decorative, fotografia, fonti antiche e altre sezioni minori ma non meno importanti. Non mancavano poi a Zeri diversi volumi antichi e rari, tra cui un’edizione originale delle Vite vasariane e splendidi libri illustrati giapponesi dell’Ottocento.

Con lo spirito pragmatico che lo contraddistinse, si ispirò ai riferimenti che riteneva utili di volta in volta, respingendo qualsiasi metodo aprioristico. Così dalla Storia pittorica dell’abate ottocentesco Luigi Lanzi mutuò l’idea generale di ordine cronologico e per scuole nella parte delle monografie sugli artisti, dalle biblioteche fiorentine di Roberto Longhi e Bernard Berenson (altro pilastro della sua formazione) l’attenzione ai centri minori e alle scuole periferiche, dal grande storico e iconologo Aby Warburg il principio di “buon vicinato” che instaura relazioni logiche tra i libri nella loro disposizione a scaffale.

Anche le fonti a cui attingeva per le proprie acquisizioni erano le più disparate. Difficilmente mancava alle fiere letterarie di Torino e Francoforte ed era costantemente aggiornato sull’editoria straniera, ma tra i suoi luoghi d’elezione era la libreria antiquaria di Giovanni Carnevali a Foligno, specializzata in storia dell’arte e tuttora operante, tra i cui scaffali Zeri si muoveva - a detta dello stesso Carnevali - “come un rabdomante, sempre alla ricerca febbrile di un titolo”. Molti sono i libri della biblioteca, acquistati o rilevati ma sempre selezionati con attenzione per evitare doppioni, provenienti da importanti raccolte di altri storici dell’arte, tra cui spiccano i nomi di Antonio Muñoz, Adolfo Venturi e Franco Russoli, già direttore di Brera.

Tantissimo il materiale allegato (oltre 10.000 documenti) raccolto negli anni da Zeri accanto o dentro ai libri: lettere, dediche, cartoline, biglietti da visita, ex libris, bozze, recensioni, ritagli di giornale, tesi di laurea, dispense, fotografie. Spiccano veri e propri dossier su casi famosi come le false sculture di Modigliani pescate nei canali di Livorno nel 1984, o il Trono Ludovisi del Museo Nazionale Romano la cui antichità è tuttora incerta e che Zeri sosteneva essere un interessantissimo falso ottocentesco.

La ricchezza di questa che è una vera “biblioteca d’autore” sta anche nelle annotazioni che lo studioso apponeva sui libri quando erano strumento di lavoro. Segni della ricerca e del continuo dialogo con la fototeca, quindi, non solo pungenti stoccate come nelle postille raccontate all’inizio. Zeri anzi riconosceva di buon grado la validità di certi autori, come quando nell’ottobre del 1969 aggiunse un entusiastico “eccellente!” al frontespizio di Apocalittici e integrati di Umberto Eco.

Una sterminata curiosità si è detto, priva di qualsiasi pregiudizio, lo spinse a esplorare anche i territori del pop e del trash, in un continuo, leggero oscillare tra cultura altissima e gusto dello scherzo e del gioco. Così, aggirandosi per la villa di Mentana, si potevano incontrare i primi saggi storico-critici sui videogame o improbabili repertori sulle discoteche d’Italia.

Sfortunatamente, ma per volere testamentario dello stesso Zeri, dopo la sua morte la biblioteca è stata divisa, perché destinò all’Università di Bologna i libri di storia dell’arte e i cataloghi d’asta, e all’erede diretto tutti gli altri volumi. Altro rammarico non di poco conto è che la biblioteca della Fondazione Zeri, aperta al pubblico dal 2008 nell’ex convento bolognese di Santa Cristina, non ha potuto ospitare tutti i libri di sua pertinenza per mancanza di spazi, obbligando a una selezione dei volumi e conservando i restanti nella villa di Mentana. Con grande cura, però, nella nuova sede si sono mantenute intatte le sezioni così come erano state ordinate da Zeri, rispettandone il pensiero che traspare dalla disposizione dei libri.

Ad oggi sono consultabili a Bologna oltre 56.000 volumi, incluse le nuove acquisizioni, e l’augurio è che in un futuro non troppo lontano si possano riunire anche gli assenti e renderli tutti fruibili al pubblico. Fosse anche per renderci partecipi di quel sottile piacere che spinse Zeri ad accumularne così tanti: “ho sempre sostenuto che il semplice possesso di un libro o il semplice sfogliarlo o tenerlo in mano già vi fa assorbire una parte del suo contenuto, facendovi scoprire qualcuna delle sue sfaccettature”.