L'Amletico

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Il Satyricon dei tempi innaturali

Un metronomo scandisce il tempo dello spettacolo. 160 battiti al minuto. Ritmi frenetici, senza pause, innaturali. È il momento presente, dove bisogna correre e non fermarsi mai; in una gara a chi arriva primo, che però dimentica l'importanza degli ultimi.

Alla festa di Trimalcione non c'è spazio per gli emarginati, ma solo per abiti eleganti, donne avvenenti e giovani affascinanti, avvolti da un senso di smarrimento e decadenza di cui non si vede la fine. "Vuoi scopare con me?". "No". "Sei una stronza". "Vuoi scopare con me?". "Sì". "Sei una puttana". Se in Tempi Moderni di Charlie Chaplin era il rumore delle macchine a mostrare l'alienazione quotidiana, nella rilettura del Satyricon secondo Francesco Piccolo sono i dialoghi a rappresentare l'ipocrisia e la sensazione di vuoto odierni. Frenetiche, ripetitive e sconclusionate, le conversazioni tra i protagonisti danno la percezione di un pensiero superficiale e banale, quello cui sta costringendo l'era della condivisione totalitaria, dove tutto deve essere mostrato a chiunque nel più breve tempo possibile.

E allora anche quando Fortunata, la moglie di Trimalcione, nuda sul palco parla senza veli della verità dei cambiamenti climatici, dello spreco dell'acqua e del pericolo per la salute, viene zittita da un laconico: "Hai rotto il cazzo". Il mondo che popola le feste borghesi non vuole sentire alcun lamento, ma solo il suono degli orgasmi, della musica e del denaro.

"Dove comandano i soldi, le leggi non valgono niente", sosteneva Petronio. E nell'appartamento dorato di Trimalcione si può tutto, anche sentenziare da un gabinetto laccato d'oro, come fa il padrone di casa. “Se ti metti a pensare che stai facendo una lotta contro il vuoto, il vuoto dentro di noi, allora stai a fa una cazzata. Perché amore mio, se vuoi stare in pace con te stessa e con gli altri, devi proprio pensare che questo vuoto non esiste”.

È per questo che il moderno Trimalcione riempie la sua vita con soldi, bagordi e una ripetitività che lo rendono ricco di vizi, ma povero di virtù.

Ricchezza di spunti e analisi che sono invece il punto forte del Satyricon diretto da Andrea De Rosa, in cui si trovano molti temi da approfondire. Che tuttavia la messinscena non rende con sufficiente tensione scenica, probabilmente anche per la brillantezza della scena comica iniziale. Tre ragazzi devono decidere dove passare la serata. Si domandano a catena "ndo annamo?" e ancora "che famo?" e poi esclamano “vojo scopà”. Il pubblico ride di gusto, ma ride di se stesso e dell’impoverimento del linguaggio, “Le parole”, sosteneva Heidegger, “non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per poter pensare” e se le parole si ripetono senza senso, allora anche il pensiero resta fermo e gira a vuoto.

Info spettacolo: qui.