L'Amletico

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Il perturbante fascino degli insetti

Oggetto di disgusto e soggetto di numerosi (e infruttuosi) tentativi di rivalutazione, gli insetti sono un’erma bifronte: affascinanti e orribili per intima vocazione.

Gli insetti interessano, nonostante tutto. Si parla spesso di diete a base di insetti, millantato cibo del futuro, oppure si sentono sovente animalisti elogiare queste forme di vita così spesso schiacciate o vituperate in mille turpi e creativi modi. Tentativi vani di rendere questi animali “accettabili” alla grande massa. Se questa rivalutazione esisterà un giorno, questo giorno sarà molto lontano. Ma la verità è che gli insetti, tutt’altro che dimenticati, esistono nella nostra vita - le loro forme, i loro colori, il loro charme – grazie all’opera di artisti, architetti, stilisti, designer che decontestualizzando la loro estetica dallo spazio della natura a quello della cultura operano una vera opera di sublimazione.

Un precedente storico nel campo dell’urbanistica e delle arti applicate sembra essere quello dell’art nouveau. Basti pensare ai gioielli di René Lalique, celebre la sua spilla-libellula, o di tutta la produzione di oreficeria della cosiddetta Scuola di Nancy, che vede motivi di scarabei e farfalle dialogare con i fiori e altri elementi decorativi più consueti. Ma il volo di una libellula sembra ispirare anche le scale dell’architetto Victor Horta (quella dell’Hotel Tassel) dall’andamento sinuoso e agile, animate come in un trionfo di libertà. Le ali delle farfalle, invece, sono come le vetrate policrome di certi palazzi Liberty o di qualche lampada Tiffany, sottile velo attraverso cui passa la luce come in una rivelazione di magia e sogno.

Con l’ingresso della “natura” nelle città occidentali, grazie alla produzione a tappeto di questi oggetti domestici e urbani, sembra iniziare l’esplorazione del micro-mondo degli insetti su larga scala, inaugurando una vera estetica.

Dalla città si passa alla cultura. Parte dell’opera omnia di Maurice Maeterlinck, premio Nobel belga per la letteratura, può essere intesa come un avventurarsi nel “magico mondo degli insetti”, riservando un’attenzione particolare agli aspetti più minuti e segreti di queste forme di esistenza. Lo vediamo attraverso la serie delle “Vite” di api, termiti, formiche, trilogia che risente di un simbolismo-misticismo decadente che oggi comunemente riteniamo datato (Maeterlinck, ricordiamo, aveva contatti con i grandi nomi di questa proto-avanguardia che elegge Mallarmé quale suo vate). Questo interesse che definiamo “edonistico” per la vitalità degli insetti assume connotati sensuali grazie alle ricerche di Roger Caillois, che nel suo saggio sulla mantide religiosa, ne Il mito e l’uomo del 1938, sembra eleggere l’animale a vera femme fatale della natura.

Nel film del 1968 La matriarca, di Pasquale festa Campanile, durante un evento mondano una signora altoborghese esibisce un ciondolo animato che non è altro che uno scarabeo appeso a una collana (e reso parte di essa) con incastonato al di sopra del suo guscio un rubino. Un vero simbolo/gioiello di seduzione proibita e orrore prêt-à-porter.

Un simile fascino – sospetto, eppure ammaliante – lo troviamo oggi nella moda. Basti pensare a certi modelli di Jean Paul Gautier, in cui l’animale è trasfigurato in qualcosa di assolutamente alieno alla sua natura orripilante.

La metafora organica della farfalla o della falena (con i suoi cicli di trasformazione) è diventata una figura abusata in tutte le forme artistiche, dal cinema alla musica. Il genio di Bjork, tuttavia, risemantizza tale associazione fantastica, rendendola nuovamente fonte di rigenerazione, implicando una trasfigurazione profonda che concerne la (ri)scoperta di nuovi modi di sentire. Questo, grazie al dialogo instaurato musicalmente con filosofie orientali, postumane e anti-speciste all’interno di una carriera segnata dall’avanguardismo più puro.

Tuttavia, c’è un altro filone che possiamo datare simbolicamente nel 1915 con La metamorfosi di Kafka. Gli insetti, nelle nostre case sempre più pulite e igienizzate, costituiscono un vero “ritorno del rimosso”, sintomo di una dimensione spiacevole che tuttavia non passa così facilmente negli antri più reconditi della coscienza. Basti pensare alla fortuna di questo motivo della trasformazione (o degradazione) a insetto nella cultura pop. Un film di successo come La mosca di David Cronenebrg ne costituisce una fulgida testimonianza.

In Babadook, horror australiano del 2014 di Jennifer Kent, un mostro, che si muove nella casa dove abitano i protagonisti come un’ombra, afferma la minaccia incessante di un rimosso pronto a emergere. Agisce, insomma, come una sorta di insetto terrificante che può uscire da qualsiasi crepa o nugolo di polvere stravolgendo le consuete abitudini borghesi, insediando le apparenze. La catarsi arriva quando la famiglia capisce che tale mostro, con l’affetto, può essere addomesticato. Questi lo accolgono e lo trattano con delicatezza, come se si trattasse di una rara e fragile forme di vita. In arte una situazione del genere sembrerebbe averla espressa la scultrice Louise Bourgeois con la serie dei “Maman”, giganteschi e spaventosi aracnidi che dal titolo denunciano un’associazione con la figura materna, grazie alla comune abilità della tessitura di tali animali con la madre dell’artista. Il mostro da incubo scappato dalla soffitta o dalla cantina lascia la casa e si appropria delle piazze, luoghi o non-luoghi dotati più o meno di un valore simbolico, ma ha un nome tenero, affettuoso, che ci fra provare una strana forma di empatia. La cooperazione fra orrore e bellezza può forse inizare così, con un semplice ma significativo gesto, sebbene del tutto fuori dalla norma.

Ma la domanda è: tale rimosso può essere veramente addomesticato dalla cultura? O non accadrà forse come nel romanzo di Clarice Lispector La passione secondo G.H., autrice che reinterpreta l’incubo kafkiano della metamorfosi, in cui l’assunzione dell’animale (sì, la protagonista mangia letteralmente una blatta) guida radicalmente verso scenari futuri in cui l’uomo è catturato in un divenire-animale che contempla l’abbandono del concetto di umanità. Come ci dicono filosofi come Rosi Braidotti, Donna Haraway, Giorgio Agamben - e in Italia figure come Leonardo Caffo - non è arrivata l’ora di pensare a nuove forme di (dis)identità? E se sì, chissà che ruolo gioca l’insetto in questa entusiasmante ridefinizione.