L'Amletico

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Fabrizio De André-Principe Libero: il biopic sulla vita del cantautore genovese

Regista: Luca Facchini

Anno: 2018

Durata: 193m

Genere: Drammatico, Biografico

Il biopic è un genere cinematografico spinoso. Tra i tanti approcci possibili, la storia di cavare l’umano dietro l’artista è quello che mi ha sempre convinto di meno: molti film si rivestono infatti di una presunta schiettezza, si compiacciono nel mettere in piedi ritratti che dovrebbero alleggerire il peso del mito e lasciare spazio all’uomo. Ci vuole poco per affermare che questa sia un’operazione impossibile, tanto più per un personaggio come De André, che non ha mai fornito molte informazioni circa la sua sfera personale, che non ha mai amato alcun tipo di comunicazione mediata. Il cantautore stesso non avrebbe mai voluto incontrare le personalità che ammirava, su tutte Leonard Cohen, proprio perché percepiva lo scarto insanabile tra uomo e artista, tra presunta realtà e percezione soggettiva. Luca Facchini, regista di “Fabrizio De André- Principe Libero”, è consapevole della materia scivolosa che ha per le mani, e lo dimostra più volte nel corso del film. Quelli sono i momenti più arguti, quando per esempio Luca Marinelli (nel ruolo del cantautore) tenta di registrare una canzone in studio, ma viene interrotto da uno stacco brusco e dalla voce di De André, che riporta l’opera al dominio a cui appartiene. La fiction dunque, pur muovendosi tra luoghi comuni e testimonianze biografiche, riesce a restituire uno sguardo. Uno sguardo cinematografico a metà distanza dal soggetto d'indagine, che costruisce una figura ibrida, un personaggio drammatico che non è ombra né caricatura.

Il merito va in gran parte a Luca Marinelli, che incarna i valori anarchici del Principe Libero con naturalezza, senza cadere nel ridicolo di una morale spiccia. I panni di De André li indossa bene, tra i carruggi di Genova e nelle serate con l’amico Paolo Villaggio (interpretato da Gianluca Gobbi), uno dei personaggi più divertenti e dinamici. Il punto forte della pseudo-fiction è proprio il cast: da Luigi Tenco a Dori Ghezzi (Valentina Bellè), i personaggi funzionano in primo luogo a livello narrativo, preoccupandosi della mimesi solamente il minimo indispensabile. In questo senso non c’è nessuna “pretesa di voler strafare”. Per quanto l’agiografia restituisca una visione forse più immediata (in quanto dichiaratamente soggettiva), Fabrizio De André-Principe Libero è forse uno degli esempi più puliti di trasposizione biografica da fiction: descrittiva, drammatica, ben recitata. Ovviamente ci sono molti altri modi per impostare un biopic, come quello di elaborare un discorso a partire dalla produzione artistica, in questo caso elevando le canzoni a materia di attenzione privilegiata. L’opera prodotta da Rai Fiction si dedica piuttosto ai turbamenti, alle rinunce, ai vizi di De André, abbandonando le tematiche affrontate su di un territorio prettamente visibile (quello delle più note vicende personali). Purtroppo c’è un vertice splendido del fare biografico che troneggia su tutto il genere, e che personalmente alza costantemente l’asticella delle aspettative: “I’m Not Here” di Todd Haynes. Un film che frammenta la vita di Bob Dylan sul piano formale e su quello tematico, che costruisce con le canzoni un mosaico complesso, una personalità schizofrenica e sbiadita, che rende onore all’artista prima che all’immagine dell’uomo.

Ovviamente si tratta di uno sforzo sperimentale che non è nelle corde di Rai Fiction, che dunque riesce a consegnare allo spettatore un’esperienza poco ambiziosa ma di buon livello. Tutti i personaggi che accompagnano la crescita di De André interagiscono in sintonia: in particolare la relazione con Enrica Rignon (Puny) si sviluppa con dolcezza e pazienza, ed è interessante osservare l’evoluzione del sentimento quando subentra l’attrazione per Dori Ghezzi. Il biopic si apre con il rapimento nella tenuta sarda del cantautore, e per concludersi torna ciclicamente al drammatico evento: il rapporto con il padre, le delusioni universitarie e lavorative, la genesi dei primi album, tutto è rappresentato con efficacia e trasporto, fino a quando non sopraggiunge il segmento dedicato al trasferimento in Sardegna. Da qui sull’opera comincia a gravare il peso del minutaggio: gli obblighi derivati dalla divisione in due episodi non giovano alla lucidità del racconto (il film avrebbe sicuramente funzionato meglio come opera da sala). Il calo qualitativo si nota sia per le riprese dei monti sardi (l’Hotel Supramonte poteva essere dipinto con più suggestione), sia per la gestione musicale delle tracce, che sul finale sembrano riprodotte casualmente, come per spuntare le voci di una playlist.

Luca Facchini aveva un compito davvero arduo da sbrigare: accontentare tutti i numerosi appassionati. Il biopic è riuscito a ricreare quell’atmosfera calda che accompagna ogni visione soggettiva del cantautore genovese, nei casi in cui la chimica tra i protagonisti e la fusione tra luoghi e musica era particolarmente brillante. Sporadicamente De André faceva capolino durante la narrazione, in una breve ripresa del mare di Genova o in qualche nota conosciuta, per poi lasciare il palco (giustamente) a Marinelli e al proprio immaginario. È il finale extra-diegetico che assegna definitivamente i ruoli, esplicitando lo sguardo del regista e degli spettatori; tutti liberi di osservare la propria proiezione di Fabrizio De André.

Gradimento Autore: 6,5/10 (Interpretazione: 7,5/10; Regia: 5/10; Scenografia: 7/10)

Gradimento Amletico*: 7/10

Attori principali: Fabrizio De André (Luca Marinelli); Dori Ghezzi (Valentina Bellè); Paolo Villaggio (Gianluca Gobbi); Enrica Rignon (Elena Radonicich)

Paese: Italia

Produzione: Rai Fiction; Bibi Film

*Media tra gradimento del pubblico, critica e autore

 

Imdb: 7,5

MyMovies: 3,5/5