L'Amletico

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Drumul: la strada di Marius dalla dittatura al palcoscenico

Un attore, un musicista e quattro strumenti musicali. Questi gli ingredienti base di Drumul, spettacolo andato in scena al teatro Belli il 30 e il 31 marzo scorsi, per la regia di Lorenzo di Matteo.

In rumeno drumul significa strada; si tratta del percorso che Silviu ha intrapreso dalla natia Romania a Roma, sua patria d’adozione, fra molteplici peripezie e difficoltà. L’attore Silviu Marius Bizau racconta la sua storia in prima persona a partire dal 21 agosto del 1983 (sua data di nascita), durante gli anni Ottanta della dittatura di Ceausescu: anni difficili di privazioni e restrizioni, in cui il cibo scarseggiava e i negozi erano vuoti, ma allo stesso tempo – in maniera quasi ossimorica – periodo di spensieratezza nella natura fiabesca rumena, fra i boschi incontaminati della Transilvania.

Fermo al centro del palcoscenico, Marius crea immagini che piano piano si materializzano nelle menti del pubblico, ricostruendo dettagliatamente non solo la sua storia, ma anche le sensazioni e le emozioni provate nei vari momenti vissuti.

Fin da subito spicca la figura della madre, donna di carattere, forte e tenace, capace di tenere testa ad Elena Ceausescu, la moglie del dittatore, e di partire alla volta dell’Italia per garantire un futuro migliore ai suoi figli. Silviu, rimasto in Romania con la sorella Monika, viene mandato a stare da parenti e amici, dopo che la madre aveva lasciato il marito violento e alcolizzato. Dopo diversi anni di lavoro presso un’onesta famiglia romana, la madre ha la possibilità di far venire i propri figli in Italia, ma il giovane Silviu non è entusiasta di lasciare la sua terra, alla quale è fortemente legato.

Fra pregiudizi e chiusure, Silviu riesce ad integrarsi grazie al teatro, che scopre inaspettatamente tramite un professore del liceo. Il giovane è talentuoso e dopo il diploma vuole dedicarsi seriamente a questa sua nuova passione. La madre è contraria, ma quando il figlio viene ammesso all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico (il primo straniero ad essere ammesso alla prestigiosa scuola) non può far altro che accettare la strada da lui scelta. A questo punto inizia una metamorfosi, e sceglierà anche di farsi chiamare col suo secondo nome, Marius, per evitare assonanze con l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi.

La musica all’interno del racconto ha un ruolo fondamentale; accompagna la storia, la commenta, con note malinconiche o gioiose, dialogando con la parola. Il polistrumentista Daniele Ercoli alterna quattro strumenti: il suono triste e talvolta stridente del contrabbasso, quello squillante della tromba, e quelli più orientaleggianti del Kaval e del Baglamà, rispettivamente un flauto diffuso nell’ex impero ottomano e un piccolo strumento a corde di origine greca. Le sonorità aiutano ad entrare in sintonia con le vicende, trasportando lo spettatore lontano dalla sala, rievocando ricordi e sensazioni di terre lontane.

La recitazione di Marius è un crescendo: all’inizio del monologo la voce, la mimica e le movenze sono ridotte al minimo, rispecchiando lo stato d’animo del timido e introverso Silviu, ma acquisendo più consapevolezza di sé, il tono di voce si alza, e Marius comincia a muoversi per il palco, divertendo il pubblico e alternando le battute in italiano con qualche espressione in rumeno.

Nel finale il piccolo Silviu, diventato ormai il bello e sicuro Marius, saluta il pubblico dicendosi felice di sentirsi finalmente e serenamente sia rumeno che italiano, fiero di portare dentro di sé la storia e la lingua di due diverse culture.

Mentre si urlano slogan retorici impregnati di pregiudizio e odio, di xenofobia e razzismo, storie d’integrazione a lieto fine come questa fanno bene. Per quanto tortuosa possa essere, “nessuna strada porta ad un albero senza frutti”.

Gradimento Autore: 8/10 (Regia: 8.5/10; Interpretazione: 8.5/10; Scenografia: 7/10)