L'Amletico

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Come si sono rialzati gli Alice in Chains dopo la morte di Layne Staley

Quando si parla degli Alice in Chains si esalta, giustamente, il periodo d'oro degli anni '90, quello con Layne Staley alla voce in piena epoca grunge. La fase post Staley del gruppo (che va dal 2005 fino a oggi) è generalmente apprezzata, se escludiamo i detrattori che non vogliono sentire alcuna ragione, ma non viene elogiata del tutto. È come se la maggior parte degli ammiratori della band di Seattle mettesse dei paletti per una sorta di rispetto verso il frontman deceduto nel 2002 e quell'era irripetibile. E invece la produzione della fase 2.0, con William Duvall alla voce in coppia con il leader Jerry Cantrell, da sempre cervello e motore del gruppo, merita di essere messa sullo stesso piano qualitativo di quella dei 90s.

Con Layne Staley alla voce, gli Alice in Chains hanno pubblicato tre album in studio dal 1990 al 1995, più due EP. Dopo la morte per overdose del cantante, figura unica e insostituibile, Cantrell e soci hanno fatto uscire dal 2009 al 2018 tre dischi. Ascesa, caduta e rinascita: così si può riassumere la storia della band di Seattle.

Gli anni ‘90: l’era grunge

Facelift (1990) è il lavoro più vario della formazione, che vede Staley alla voce, Cantrell chitarra e seconda voce, Sean Kinney alla batteria e Mike Starr al basso. Qui si sente l'entusiasmo, la grinta, la potenza, ma anche la leggerezza tipica di un disco d'esordio. L'oscurità, che sarà il tratto distintivo della band, è già evidente nella maggior parte dei brani, ma nell'album c'è spazio anche per canzoni glam/hair metal, segno dei primissimi esordi del gruppo. Se Man in the Box è la hit (il videoclip sarà in rotazione continua su Mtv), Love Hate Love è il capolavoro. L’interpretazione di Layne riesce a unire potenza ed emotività vocale sia nella versione studio che in quella live. Proprio l’emotività è la caratteristica che rende unico Staley rispetto a tutti gli altri cantanti.

Nel ‘92 pubblicano a sorpresa un EP acustico (Sap) ma nello stesso anno danno alle stampe quello che è considerato il disco simbolo: Dirt. Malato e claustrofobico, i testi sono incentrati principalmente sull'abuso di eroina di Staley, mentre la chitarra di Cantrell diventa più acida, dando una sterzata metal al suono degli Alice in Chains. Il batterista Sean Kinney si rende protagonista in brani come Would? e Sickman con uno stile tutto suo. L'unico momento di "respiro" è la commovente Down in a Hole. Il testo è scritto da Cantrell, ma sembra raccontare la vita di Staley. Un'intesa unica quella tra il frontman e il chitarrista. Altro brano da citare è Rain When I Die: "I'm a riddle so strong, you can't break me" canta Layne. Dirt è il classico “album-greatest hits”: tutte canzoni di alto livello e nessun pezzo debole.

Non solo metal: l’anima acustica degli Alice in Chains

Durante il tour di Dirt avviene un cambio all'interno della formazione: il bassista Mike Starr, anche lui con una vita sregolata fuori dal palco, viene allontanato e sostituito con Mike Inez, che darà il suo contributo nel secondo EP: l'elettro-acustico Jar of Flies. Uscito nel 1994, si distacca nettamente dalle sonorità di Dirt. L'anima acustica degli Alice in Chains, venuta fuori con questo lavoro e il precedente Sap, mostra la completezza del gruppo: capace di suonare metal e poi di passare a sonorità acustiche con disinvoltura, scrivendo canzoni emozionanti. Questo lato della band sarà suggellato nel concerto Mtv Unplugged del 1996, un'esibizione storica e memorabile tutta in chiave acustica. Basta osservare l’ingresso di un Layne Staley fragile e con i capelli tinti di rosa sulle note di Nutshell per comprendere la portata storica e l’unicità di quel live. Tornando a Jar of Flies, un altro brano da segnalare dell’EP è la traccia d’apertura Rotten Apple.

Nel frattempo, i problemi personali dei membri influiscono anche nella vita della band e gli Alice in Chains si separano per un po’. Layne Staley si unisce al supergruppo Mad Season con cui pubblica la perla Above (1995), mentre Jerry Cantrell continua a scrivere nuovo materiale.

Gli Alice in Chains si ritrovano nel 1995 per il terzo e ultimo album con Staley alla voce. Alice in Chains, chiamato anche Tripod dai fan per il cane a tre zampe in copertina, avrà una lavorazione complicata. I problemi del frontman sono sempre più evidenti e rallentano i tempi di uscita, mentre l’etichetta pressa per terminare l’album il prima possibile. Per questo disco, la composizione di fatto avviene su due fronti: da una parte Layne Staley si occupa dei testi (in questo album il suo contributo sarà più evidente sotto questo aspetto, a differenza dei precedenti dove Jerry Cantrell aveva scritto buona parte dei testi), dall’altra i tre musicisti scrivono le musiche. Il risultato è un altro ottimo album, che però presenta qualche riempitivo che poteva essere sviluppato meglio. Tra i migliori brani di Tripod, Shame in You: qui la voce del cantante sembra provenire da un’altra dimensione.

la morte di layne staley

Per questo album non ci sarà nessun tour a causa dei problemi di tossicodipendenza di Layne Staley. Ci sarà l’unplugged e poi qualche data a supporto dei Kiss, ma in una di queste Layne va in overdose dopo il concerto. Gli Alice in Chains, dunque, si fermano. Jerry Cantrell pubblica nel 1998 il suo primo disco solista, Boggy Depot. Nello stesso anno la band si ritrova in studio per registrare due inediti, Get Born Again e Died, i cui testi parlano della ragazza di Staley, anche lei tossicodipendente, morta due anni prima per un’endocardite batterica, un’infiammazione del rivestimento interno del cuore. Layne non si riprende più dalla sua scomparsa e diventa sempre più solitario: lui e l’eroina. I membri degli Alice in Chains e gli amici provano più volte a farlo uscire da quell’isolamento, ma non c’è niente da fare. Layne Staley muore il 5 aprile 2002. Il suo corpo viene trovato nel suo appartamento a Seattle dopo due settimane.

La ripartenza e la rinascita

Jerry Cantrell, Sean Kinney e Mike Inez intraprendono percorsi differenti. Il biondo chitarrista pubblica il suo secondo disco, Degradation Trip (2002), creato durante un periodo di totale isolamento. Perché anche Jerry, con una vita difficile fin da ragazzo (aveva perso anni prima la madre e il padre era un reduce di guerra), aveva problemi con alcool e droga. Ma nel 2005, in seguito allo tsunami che aveva colpito il sud-est asiatico, i tre componenti rimasti si ritrovano insieme per organizzare un concerto di beneficenza. Da lì ci saranno diversi live in cui si alterneranno alla voce più cantanti, tra i quali William Duvall, che aveva accompagnato Jerry Cantrell nel tour di Degradation Trip insieme alla sua band, i Comes with the Fall. È un’esibizione di Love Hate Love durante le prove a convincere definitivamente anche Kinney e Inez: sì, Duvall è l’uomo giusto. Entra così ufficialmente all’interno del gruppo nel 2006 e gli Alice in Chains decidono, dunque, di ripartire per creare nuovo materiale.

La scelta non è casuale: Layne Staley non poteva essere sostituito in nessun modo e prendere uno che gli somigliasse non aveva alcun senso. Gli Alice in Chains scelgono dunque di reinventarsi, ma mantenendo il loro stile: questa è la chiave di tutto. Duvall è diverso da Staley, sia dal punto di vista estetico che da quello artistico. Se la caratteristica principale di Layne era l’emotività, William è più un musicista. Oltre ad avere una grandissima voce (più pulita di quella di Staley), è anche un ottimo chitarrista. Infatti ora gli Alice in Chains si esibiscono con due chitarre. Inoltre, e qui gioca un ruolo fondamentale Cantrell, puntano molto più sulle armonie vocali rispetto al passato. Se Layne era il cantante e Jerry la seconda voce (a parte alcuni brani cantati totalmente da quest’ultimo), Duvall e Cantrell cantano in coppia, con la voce di Jerry che risalta di più di quella del compagno.

Dopo quattro anni di esibizioni dal vivo, gli Alice in Chains tornano a 14 anni di distanza dall’ultimo disco in studio: nel 2009 esce Black Gives Way to Blue, il grande ritorno sulla scena musicale. La band di Seattle non delude, pubblicando un album paragonabile a Dirt come qualità. Nessun pezzo debole, tutte canzoni che emozionano e lasciano il segno. Dentro questo lavoro ci sono gli anni di silenzio, di difficoltà e sofferenza, ma anche la voglia di guardare avanti. Ascoltarlo nella sua interezza, dalla prima all’ultima traccia, è una vera e propria seduta psicologica. La chiusura dell’album è una dedica emozionante a Layne Staley. Al pianoforte c’è un ospite d’eccellenza: Elton John. Proprio quello del cantautore britannico fu il primo concerto visto da Layne, quando era ancora un bambino: un cerchio che si chiude. All’interno del disco, un altro brano che merita di essere assolutamente menzionato è Private Hell, degna dei migliori episodi degli anni ‘90 della band. Il tour avrà grande successo con una serie di sold out.

È il 2013 ed è tempo per il quinto album: The Devil Put Dinosaurs Here è più complesso del precedente, i brani più lunghi e i riff più rocciosi. La qualità è immutata: un altro grandissimo disco, probabilmente tra i migliori degli anni ‘10.

Se i testi degli Alice in Chains anni ‘90 erano più diretti, con chiari riferimenti alla tossicodipendenza, quelli degli Alice in Chains 2.0 sono sempre personali ma più introspettivi. Spesso non si sa a cosa si riferiscano e lasciano più spazio all’interpretazione dell’ascoltatore. Nonostante le differenze inevitabili tra passato e presente, però, c’è un legame, un filo che lega le due fasi della band per quanto riguarda musica e testi. La discografia degli Alice in Chains va considerata in un unico blocco, come un percorso di vita vissuta.

La traccia conclusiva di The Devil Put Dinosaurs Here è Choke.. Il testo potrebbe riferirsi a quei fan che hanno mollato gli Alice in Chains dopo la ripartenza senza Layne, non provando nemmeno ad ascoltare ciò che avevano ancora da dire e da dimostrare. Ma la maggior parte ha dato fiducia alla band, senza pentirsene. “Go then, if you don't feel right/Living in our home/Choking, eat your pride, eat your pride alone”.

L’ultimo album è Rainier Fog, uscito il 24 agosto 2018. Il gruppo torna a Seattle, nello stesso studio di registrazione di Tripod, il lavoro finale con Layne Staley, per affrontare i vecchi fantasmi. La title track è una dedica agli amici scomparsi negli anni, ovviamente Layne ma anche Chris Cornell dei Soundgarden, morto nel 2017. All I Am è il tipo di pezzo che non sbagliano e non sbaglieranno mai.

Il futuro: un’ulteriore evoluzione?

Gli Alice in Chains, dopo il tour a supporto di Rainier Fog, adesso sono in pausa. Sia Cantrell che Duvall stanno dedicando il loro tempo ai rispettivi progetti solisti. Arrivati al terzo album con la nuova formazione, se proprio va fatta una critica, si può affermare che finora William Duvall non ha avuto lo spazio che meriterebbe. Sono infatti pochi i brani cantati totalmente da lui. Un peccato, perché quando ha avuto libertà di esprimersi ha dimostrato doti notevoli. E qui si apre una finestra sul futuro della band. Ci sarà un’ulteriore evoluzione, lanciando definitivamente Duvall come primo cantante, rinnovandosi un’altra volta? La sua voce alta darebbe anche la possibilità di creare pezzi differenti, magari più veloci (come Rainier Fog o Never Fade, ad esempio). In ogni caso, gli Alice in Chains non hanno mai sbagliato un disco. Hanno scritto la storia, sono caduti e poi si sono rialzati, sapendosi rinnovare. In tutto questo, hanno sempre mantenuto la propria integrità, parlando con ciò che conta realmente: la musica.