L'Amletico

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The Stone Roses - I Custodi Delle Chiavi Di MaDchester

C’è stato un momento in cui, a cavallo tra la fine degli anni ottanta e l’inizio dei novanta, la città di Manchester cambiò il toponimo, divenendo Madchester. La nuova scena musicale che stava per nascere sfondò con i propri interpreti muri allora altissimi e riuscì ad inglobare gli stilemi del rock e della dance in una miscela esplosiva.

E a tale riguardo gli Stone Roses furono i pionieri di quella “seconda estate dell’amore”, con epicentro proprio a Manchester ma di magnitudo così potente da attrarre le attenzioni del resto dell’Inghilterra e di mezzo mondo. Ian Brown e John Squire sono due vicini di casa che cominciano a pensare ad un gruppo insieme, solito negli adolescenti britannici come rimedio alla pioggia. Nel 1983 nascono gli Stone Roses, anche se la formazione d’esordio dura un battito di ciglia: un paio di singoli e un timido abbozzo di un lp mai distribuito. Nell’86 Brown, Squire e Wren restano, Cozens lascia e un anno dopo anche Garner molla. Al loro posto accorrerà alla causa delle “rose” Gary Maunfield. È la formazione definitiva, gli orologi si sincronizzano e la parabola di una delle band più controverse della musica inglese attua la sua curva verso il vertice.

Sally Cinnamon sancisce la seconda partenza, un singolo promettente e psichedelico che lascia scorgere un enorme potenziale. La psichedelia, appunto, tenuta per mano dalle stringhe jangle di Squire e dalla voce “sgraziatamente” nasale di Brown, accendono di speranza la critica. La tavola è imbandita anche sul fronte pubblico, visti i tanti concerti tenuti dai quattro ragazzi di Manchester, in locali gremiti di giovani indiavolati. La Silverstone decide di cavalcare l’onda creata dal fenomeno Stone Roses – prima ancora di nascere veramente – e garantisce loro un contratto.

Nel 1989 esce il primo album omonimo della band, un punto di non ritorno per il mondo della canzone al di là del Canale della Manica. Il disco è perfetto e senza pecca alcuna, giudicato positivamente dai critici musicali dell’epoca, un’ora di grande musica che unisce all’orecchiabilità istantanea dei brani una complessità di fondo. I Wanna Be Adored è il manifesto dei Roses, un inno favolistico e istrionico di un gruppo che è già pronto a mettere piede in un certo paradiso di culto. Seguono She Bangs The Drums, Waterfall e Don’t Stop (quest’ultima riprende la traccia precedente al contrario): ad emergere sono le ritmiche di Maunfield e Wren che inventano il palco danzante su cui Squire sprigiona riff e Ian “King Monkey” Brown incanta col potere del suo canto. Ogni brano è un incontro innovativo di funky, hip hop e rock ‘n roll, contagiato da un brit pop irrefrenabile. This Is The One e specialmente I Am The Resurrection sono la chiosa speciale per un album che ascoltato oggi non ha collocazione temporale o di genere.

Nel 1990 gli Stone Roses sono conosciuti un po’ ovunque e sempre in questo anno verranno consegnati alla leggenda per un festival da loro organizzato, su un’isola, che conta trentamila spettatori e grosse problematiche a livello acustico. Sembra l’inizio di un’epopea lunghissima di una band dal potenziale stratosferico. E invece i problemi con le etichette e i produttori, anche per il caratteraccio dei quattro - che spesso non amavano padroni - rallentano l’uscita del nuovo disco, che sarà edito solamente nel 1994.

Anticipato dal singolo Love Spreads, Second Coming è un inaspettato lavoro rock blues che trae ispirazione dalle chitarre di Hendrix e Jimmy Page, con John Squire a dettare i tempi e Brown a mettere la voce su una tempesta hard rock. I risultati, seppure abbastanza buoni nelle vendite, non sono quelli sperati. Lontani dalla meravigliosa opera prima e a causa di dissidi interni sempre più frequenti, il gruppo comincia a sgretolarsi pian piano. Il primo ad abbandonare la nave è Wren a cui fa seguito Squire. Senza più le bacchette e la chitarra, e con soli due lavori in studio, gli Stone Roses non esistono più.

Eppure molti gruppi che vennero dopo non hanno fatto che apprendere dal gruppo di Manchester, nelle sonorità e nell’attitudine sul palco. Gli Oasis, forse la più famosa band brit pop degli anni ’90, non hanno mai negato di aver guardato alle rose di pietra per la loro musica. Nello specifico Liam Gallagher, sottopalco da giovane ai loro concerti, si è ispirato alla spavalderia di Ian Brown, nel look e in quel tamburello stretto nella mano. Anche i Kasabian e Alex Turner degli Arctic Monkeys sono stati influenzati visibilmente.

Nel 2011, dopo quindici anni di inattività, la band si è riunita e per l’occasione ha rilasciato due singoli, All for One e Beautiful Thing, oltre ad una serie di concerti vecchio stile.