L'Amletico

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Un fallo è sempre un fallo? Sul Pulcinella di Gaetano Pesce a Napoli

“Tu si ‘na cosa grande” di Gaetano Pesce ha colpito l’immaginazione del web, esattamente come era prevedibile sarebbe successo. Dopo il caso mediatico de La Venere degli stracci di Pistoletto, una scultura a Piazza Municipio a Napoli smuove ancora una volta l’opinione pubblica, stavolta creando discussioni con tinte meno fosche e più carnevalesche.

Tanti ne hanno parlato, tantissimi ne hanno riso e alcuni (coraggiosi) ne hanno preso le difese. Allora cosa si può aggiungere in tal proposito senza far finta di non vedere “il fallo nella stanza”, ma senza neanche rischiare di indicare il fallo per non vedere la luna, ovvero lo sterminato panorama di possibilità che i social ci offrono di leggere la nostra contemporaneità e il debordante ed eccessivo rapporto intrattenuto con l’arte contemporanea?

 

Un totem del ridicolo per il culto della viralità 

Viene da chiedersi quale sia la vera opera, se il Pulcinella fallico oppure le fantasiose interpretazioni che ne sono state date sul web da tantissimi utenti. Se con Pistoletto tanti si sono sentiti legittimati a offrire gratis consulenze di critica d’arte, pronti a demolire le brutture dell’arte contemporanea con prevedibili discorsi stereotipati, questa volta tutto era talmente assurdo e ridicolo che (quasi) nessuno è rimasto serio. Giusto qualche accenno al prezzo esorbitante dell’opera, ma si sa, alla fine si è pagato il nome, la firma dell’autore. Immaginate di spostare la scultura in una piazza minore, sostituendo il nome di Pesce con quello di un illustre sconosciuto: chi avrebbe pensato che potesse trattarsi di una “grande” opera? I due cuori trafitti da una freccia – che contornano l’installazione – sono due ridondanti souvenir, un omaggio kitsch all’amata città partenopea, mentre le bandierine issate sopra al glande della scultura centrale non possono non richiamare l’atmosfera chiassosa di una giostra montata al centro di una festa di paese dove si celebra un santo, forse San Prepuzio.

 

Alla fine, un’operazione del genere spinge il pubblico a diventare artista, come ha fatto – ad esempio – chi ha creato un gelato a gusto “Tu si ‘na cosa grande”, o più semplicemente a produrre giochi di parole e fotomontaggi che enfatizzano il lato comico del titolo e dell’oggetto scultoreo. Gaetano Pesce, c’è da dire, anche quando realizzava oggetti di design dal taglio più sobrio e minimale non è mai stato un campione di buon gusto. Se il Pulcinella di Piazza Municipio sembra un fallo in piena erezione (curioso l’accostamento di scegliere questo “attimo”, colto prima di un’ipotetica eiaculazione, accostandolo alla città vulcanica) la celebre poltrona UP5 (1969) mostra sempre rimandi organici che oggettivizzano il corpo, questa volta femminile. Una poltrona di poliuretano espanso comoda e avvolgente come un corpo avvolgente e accogliente, quello di una donna gravida, che “partorisce” la persona che decide di sedersi sopra di essa. Insomma, l’etichetta del design radicale nobilita e riscatta anche trovate poco eleganti, ma sicuramente d’effetto. D’altronde, gli anni Settanta erano un’epoca diversa da quella di oggi, dove certe provocazioni avevano certamente più senso e non scadevano nella volgare parodia o della deriva “trash” che oggigiorni spopola sul web. Eppure oggi va così, e chi ha pensato di mettere quell’opera in quel posto, sapeva cosa sarebbe successo, per cui non fa neanche così tanto ridere ironizzare su certe trovate, perché tutto risulta artificioso e – prevedibilmente – già visto.

 

 Le dimensioni (del fenomeno social) contano

Piazza Municipio, da anni, ha un problema, prima ancora della Venere degli stracci. Un tempo luogo verdeggiante, dotata di una fontana supplementare, è diventata progressivamente una sterminata landa di pietra lavica che d’estate – con l’arsura del sole – sembra ancora più grande, come un deserto che si vorrebbe attraversare in un sol balzo. Il progetto di Álvaro Siza, che doveva migliorare le cose, ha aggiunto solo qualche sparuto alberello a cui non viene offerta l’opportunità di crescere, stringendo il tronco e le sue radici come un cappio. Tutto questo, per non rovinare il minimalismo di un’operazione che mirava ad esaltare la mole del Maschio Angioino, col risultato di trasformare la sua “Corte” esterna in un luogo affatto vitale. I lavori di scavo archeologico, che si stano ultimando nei pressi del suo fossato, condurranno a un progetto di riqualificazione finale che aggiungerà un ulteriore tocco di ruvida e arida pietra all’ostile piazza. Ma rendere uno spazio pubblico fruibile non fa notizia, se non in periferia, dove si lodano a volte con ostentata retorica operazioni minime di riqualificazione.  Il centro cittadino di tutte le citta italiane è diventato mercé del mercato turistico, a cui si aggiungono queste fantasiose idee di marketing spacciate per operazioni artistiche. Alla fine, a dispetto di quanto comunemente si pensa e si dice, il dialogo non si impernia mai sull’artisticità delle innovazioni che coinvolgono Napoli, ma solo sulla loro spettacolarità, che oggi fa rima con viralità. Basti pensare alle fantasmagoriche stazioni della metropolitana: tutto l’hype sul web si crea grazie alla contrapposizione fra un’immagine convenzionale di una Napoli sporca e decadente e la grandiosità luminescente e avveniristica di queste trovate che uno si aspetterebbe di vedere a Dubai.

Allora non serve interpellare i difensori dell’opera di Pesce, che dicono che l’opera è incompleta, che c’è stata una divergenza importate fra il progetto e la realizzazione finale. Tutte queste spiegazioni – tardive, pedanti – non sono importanti: aggiungono parole al vuoto centrale di una scultura che fa solo da propulsore a una moltitudine di discorsi che non si fanno mai veramente “contenuto”, non sanano mai la lacuna esistenziale che li ha generati. Possiamo ridere e speculare su uno dei Pulcinella più brutti che Napoli abbia mai visto, ma alla fine per stare dietro al fenomeno dovremmo ascoltare l’ultima parola del genio creativo di chi ha ideato un nuovo meme su di essa. Solo prestando fede alle invenzioni di chi riesce a trasfigurare anche l’opera più sterile possiamo sfuggire al nichilismo di una politica culturale che spinge all’appiattimento mediatico, allo scandalo scritto a tavolino, alla noia e all’oblio che gli consegue, inevitabilmente e insensibilmente, come quel fallo tanto grande quanto flaccido, privo di sangue e di libido.